08/09/2013
CENT'ANNI SUL CONFINE
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Le persecuzioni subite dalla comunità slovena in Italia durante il periodo fascista rappresentano una delle frequenti rimozioni che nella nostra memoria storica operiamo rispetto agli eventi che ci gettano in cattiva luce. I libri di Boris Pahor (tra cui "Così ho vissuto. Il secolo di Boris Pahor", di prossima uscita) hanno contribuito a restituire la dimensione di un'aggressione culturale e identitaria di rara violenza, tragicamente sfociata per molti sloveni nella deportazione nei campi di concentramento italiani durante la guerra. Un ulteriore e prezioso tassello nella ricostruzione di quella storia viene da "Un eroe in famiglia", il libro che la moglie di Pahor, Radoslava Premrl, dedicò alla figura del fratello Janko, partigiano nella lotta anti-fascista e morto in circostanze poco chiare nel 1944. In occasione dei suoi cento anni, Boris Pahor ritorna al Festival per parlare con Bruno Gambarotta delle radici slovene, dell'amata moglie Rada e di una vita testimoniata attraverso la letteratura.
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Italiano
È una spigliatezza che non ti aspetteresti, quella del centenne Boris Pahor. La velocità con cui parla, snocciola battute e firma autografi è disarmante, e conferisce ancora più forza ai suoi racconti. Pahor è nato a Trieste nel 1913, allora porto principale dell'Impero Austro-Ungarico. A sette anni vide l'incendio del Narodni dom, sede centrale delle organizzazioni della comunità slovena di Trieste. L'esperienza lo segnò per tutta la vita, e torna spesso nei suoi romanzi e racconti. Nel 1940 viene arruolato nell'esercito italiano e mandato sul fronte in Libia. Dopo l'armistizio dell'otto settembre torna a Trieste, ormai sotto occupazione tedesca. Dopo alcuni giorni decide di unirsi alle truppe partigiane slovene che operavano nella Venezia Giulia. Nel 1944 Pahor fu catturato dai nazisti e internato in vari campi di concentramento in Francia e in Germania (Dachau e Bergen-Belsen, tra gli altri). Pahor è celebre per "Necropoli", che racconta del suo internamento a Natzweiler-Struthof. Il libro continua ad ottenere elogi ovunque, soprattutto in Italia (da Magris a Rumiz), dove ha ottenuto paragoni anche con l'opera di Primo Levi. Pahor ha riscritto integralmente l'opera in italiano, non limitandosi a "tradurre" l'originale in sloveno. Di recente uscita anche l'autobiografia "Così ho vissuto. Il secolo di Boris Pahor". Non sono mancate belle parole in ricordo della moglie (per oltre 50 anni) Radoslava Premrl, scomparsa nel 2009, il cui libro "Un eroe in famiglia" è dedicato al fratello Janko, eroe partigiano. Gli episodi dell'opera erano già stati raccontati in una rivista di cui Rada era collaboratrice ("Andata avanti per 24 anni senza avere un soldo", precisa Pahor). Nonostante l'argomento, il penultimo evento del Festival non cade mai nel patetico e nel retorico. In questo, complice l'ironia dello stesso autore e del solito bravo Gambarotta, nelle vesti di moderatore. Pahor non ha tralasciato acute critiche rigorosamente 'bipartisan' nei confronti delle dittature, passate e recenti. La stessa istituzione della 'Giornata del ricordo' del 10 febbraio andrebbe rivista: «Dovrebbe essere la giornata dei ricordi, perché vanno ricordati i morti di entrambe le parti, se si vogliono onorare i propositi europei di fratellanza. Questa parte di storia andrebbe poi ovviamente studiata meglio a scuola».