03/09/2014

L'ELOGIO DELLO SDRAIATO

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Un padre, un figlio, un divano, la vetta di una montagna: sono i quattro lati del perimetro in cui si gioca un incontro/scontro tra generazioni. Rimorsi, sensi di colpa, provocatori j'accuse e bandiere bianche alzate fanno da contorno a smartphone, tablet, comportamenti multitasking e istinti apatici: giovani e adulti hanno ancora cose da darsi e da dirsi? Michele Serra, Federico Taddia e alcuni studenti si confrontano sulla figura dello sdraiato: chi è, a chi fa paura, esiste per davvero o è solo il frutto dell'invidia di chi ha superato l'adolescenza da qualche decennio? Ironia, leggerezza e profondità in un confronto tra sdraiati... di tutte le età.
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Italiano
Stare sdraiati oggi provoca molti dibattiti. Lo sa bene Michele Serra, tanto che la prima domanda che Federico Taddia gli ha rivolto sul palco di Piazza Castello è stata: «Ti sei pentito di avere scritto 'Gli sdraiati'?».  Accanto a lui, sono schierati cinque ragazzi, pronti a difendere la loro posizione orizzontale: è un vero e proprio scontro generazionale, ad assistere un pubblico eterogeneo di astanti e distesi. Gli astanti sono ovviamente gli adulti, quella generazione di «dopopadri relativisti etici», come li definisce Serra nel suo romanzo, che per stessa ammissione dell'autore sono spesso una presenza ingombrante nella vita dei figli, a loro volta perennemente allungati sul divano, con la musica dell'ipod nelle orecchie, la tv accesa, il libro di chimica aperto e il cellulare a portata di mano. Gli 'sdraiati', appunto.  Il romanzo, che dalla sua pubblicazione nel 2013 è in testa a tutte le classifiche editoriali, ha fatto molto parlare (e sparlare) di sé ed è stato definito spesso un 'saggio di costume' che affronta il sempre complesso rapporto padre-figlio, analizzando in modo critico, ma generalizzato, le nuove generazioni. Eccessiva generalizzazione, questa la critica al romanzo più ricorrente da parte dei cinque ragazzi pronti a dialogare con Serra e Taddia. L'autore però, rivendica l'arbitrarietà del romanzo che, in quanto testo letterario, ha l'unico scopo di raccontare la storia di quel padre («personaggio molto autobiografico», confessa Serra) e di quel figlio, che è la sintesi dei suoi quattro figli e di tutti i loro amici, ragazzi, fidanzati. «La posizione orizzontale che vi attribuisco non implica un giudizio negativo, è un dato di fatto, è quello che vedo» dice l'autore ai giovani, forse dimenticando che tutti siamo abituati a leggere i suoi editoriali come saggi d'opinione.  L'orizzontalità caratterizza ogni aspetto della vita delle nuove generazioni, dall'iperconnessione garantita dalle nuove tecnologie, al nuovo metodo di apprendimento di cui parla anche Alessandro Baricco nel suo saggio "I Barbari". Apprendere in modo orizzontale significa conoscere di tutto un po', senza approfondire se non qualche specifico argomento. Significa «accendere tutto e non spegnere niente, iniziare qualcosa e non finirlo, assaggiare di tutto ma assaporare poco» ma, come ha scritto una volta un blogger romano a Serra, in tutto ciò «che problema c'è?». È qui che sta il punto del libro: il nostro eroe tragicomico non è il figlio, ma il padre, un padre inetto e un po' incapace, figlio di una generazione che ha visto crollare i suoi ideali ma che non riesce a comprendere perché i figli non siano interessati ad appropriarsi di questo mondo e puntino a un universo nuovo, ancora imperscrutabile e inaccessibile. Un padre perennemente in ansia nei confronti del figlio, ansia che è sinonimo di tenerezza, ansia di non sapere immaginare come andrà a finire. «Forse ho sbagliato titolo - scherza l'autore - avrei dovuto chiamarlo 'La tragedia di un padre ridicolo'». Inutile cercare di ribattere, questa è una generazione indolente e snob, perché arriva in un mondo in cui ogni esperienza è già stata esaurita, in cui è difficile immaginarsi un futuro e in cui la separazione fra giovani e adulti è sempre minore. Ecco perché il libro si conclude con un lieto fine: il figlio volta le spalle al padre e va solo verso la meta del Colle della Nasca. Infatti, solo garantendo il prima possibile ai giovani un'indipendenza economica ed emotiva dai propri genitori si potrà migliorare la comunicazione e quindi tornare ad avere un conflitto sano fra generazioni. 

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