05/09/2014

LE DITTATURE E L'IMMAGINARIO

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Patria. Nazione. Stato. Partito. I regimi totalitari del XX secolo sono stati formidabili produttori di apparati iconici articolatissimi a sostegno del proprio sistema di potere e del duce di turno. Palazzi, statue, manifesti, spettacoli, oggetti d'uso comune venivano progettati per invadere lo spazio pubblico e privato e creare un immaginario condiviso al quale il popolo potesse credere e aderire. Gian Piero Piretto, docente di Cultura russa e Metodologia della cultura visuale all'Università di Milano e autore di Memorie di pietra, si aggira tra le macerie delle dittature del Novecento, mostrandoci reperti illuminanti anche per leggere il nostro presente. Lo accompagna il saggista Marco Belpoliti.
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Italiano
Gian Piero Piretto, storico della cultura russa e in particolare dell'immaginario visuale del periodo sovietico, è autore del saggio "Gli occhi di Stalin" e curatore del volume "Memorie di pietra". Al centro dell'appassionante dialogo-intervista con il critico Marco Belpoliti è proprio il rapporto fra la cultura russa e la sua travagliata storia politica.
 Si parte da una canzone, che Piretto propone al pubblico dell'Aula Magna dell'Università: il testo, del 2009, canta la nostalgia per la Russia sovietica, quella Russia che sulla carta è caduta nel 1991. Nella Russia di oggi si assiste ad un revival di atteggiamenti sovietici anche sul fronte politico, e in questo ultimo anno Piretto nota persino un curioso sdoppiamento fra due entità a lungo considerate un unicum: il potere sovietico, cioè il regime politico e anche militare che non si esita a condannare, e l'Unione Sovietica, una sorta di mitologia basata sulla nostalgia. Obliterato il trauma, resta in molti russi il ricordo di una quotidianità epurata dal terrore staliniano: l'orgoglio per le spedizioni spaziali, le vittorie alle Olimpiadi e, prima ancora, per l'enorme estensione della nazione russa. Marco Belpoliti sottolinea l'interesse dell'applicazione di una categoria spaziale, l'estensione geografica (che effettivamente faceva dell'Unione Sovietica il paese più grande del mondo), al concetto di nostalgia, legato piuttosto alla dimensione del passare del tempo. La risposta di Piretto è che la nostalgia, sentimento profondamente connaturato allo spirito russo, ha le sue radici proprio nell'importanza antica della morfologia per i russi, a un tempo tentati dall'esplorazione degli spazi apparentemente infiniti delle steppe e desiderosi di riparo dalla potenza estrema della natura. Proprio in questa «alternanza continua fra claustrofobia e agorafobia» risiede l'origine dell'orgoglio russo, vale a dire di quell'angoscia che è a un tempo struggimento e compiacimento. Certo, a nessuno sfugge che parlare alla Russia richiama alla mente la figura di Putin e le tensioni ai confini orientali dell'Europa. In particolare, Piretto sottolinea la differenza dell'attuale presidente russo rispetto a Stalin: mentre quest'ultimo affidava la sua rappresentazione al simulacro (all'immagine di se stesso fatta sfilare nella Piazza Rossa di Mosca), Putin preferisce ricorrere alla costruzione mediatica di un leader dalla forte corporeità, sfruttando a suo vantaggio la nuova nostalgia. L'età di Putin è quella del macho a dorso nudo sul cavallo, o della limousine che lo porta, nel 2012, verso al discorso inaugurale del suo nuovo mandato, nel silenzio irreale di una Mosca deserta.

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