06/09/2014
HO RIVELATO IL MIO CUORE AL MONDO PERCHÉ LO PRENDESSERO A FUCILATE
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Intorno alle opere di Tolkien si è formata negli anni una sorta di cortina fumogena fatta di interpretazioni ideologiche e pregiudiziali, che ha finito per impedire una lettura più criticamente attenta ai testi, ai simboli e all'immaginario di Lo Hobbit e di Il Signore degli Anelli, confinando l'autore nel limitante ambito della letteratura di genere. Uno strumento che riserva non poche sorprese a chi voglia entrare nel pensiero e nel laboratorio creativo tolkieniano è l'ampio epistolario dell'autore, di cui esiste un'edizione curata dal figlio Christopher e dal biografo Humphrey Carpenter, pubblicata anche in Italia con il titolo La realtà in trasparenza. Chiara Codecà, esperta di letteratura fantasy, e Wu Ming 4, autore di Difendere la Terra di Mezzo, percorrono le centinaia di lettere indirizzate ai familiari, agli amici e agli editori cercando di sovvertire i luoghi comuni e la vulgata tolkieniana e leggendo finalmente Tolkien attraverso Tolkien.
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Italiano
«Il tranello è pensare che l'epistolario sia l'unica e più giusta chiave interpretativa». L'esperta di fantasy Chiara Codecà, che insieme a Wu Ming 4, ripercorre alcune tappe del lavoro di J.R.R. Tolkien è fin da subito diretta: anche l'epistolario postumo dello scrittore è frutto di una selezione, è il risultato di una scelta altrui che influenza il prodotto finale. Wu Ming 4, membro del noto collettivo di scrittori, prende la parola e incalza: l'epistolario viene trattato alla stregua di un saggio e saccheggiato, non tenendo conto dell'imprescindibile ordine cronologico che lo governa. L'autore fa notare che una lettera privata ha sempre un tono modulato e contestualizzato: tiene conto del lettore e riflette il momento nel quale viene scritta. Ad esempio, chi crede che Tolkien volesse - attraverso "Il Signore degli anelli" - creare una mitologia per la sua Inghilterra, dovrebbe sfogliare la lettera 131 diretta all'editore Waldeman: «Non ridere! Ma una volta (la mia cresta si è comunque abbassata da tempo) avevo in mente di creare un corpo di leggende più o meno interconnesse tra loro che spaziassero dalle vastità della cosmogonia alla fiaba romantica [...] e che io potessi dedicare semplicemente all'Inghilterra, al mio paese». Quel «Non ridere» e quel «una volta», secondo Wu Ming 4, rivelerebbero le intenzioni dell'autore maturo, sconnesse dai sogni giovanili. Da qui l'importanza di contestualizzare i brani estratti perché chi decontestualizza finisce, inevitabilmente, per prendere una cantonata. Un epistolario è un po' come una scatola delle sorprese, si trovano stati d'animo e riflessioni sulle opere, si trovano fatti e umori privati, motivazioni di scelte stilistiche e di prospettive d'osservazione. Si trovano pensieri uguali che, espressi in periodi diversi, danno vita a quelle che Wu Ming 4 chiama «contraddizioni fertili», cioè discrepanze tra una prima percezione dell'opera e una successiva. È il caso del tema religioso ne "Il Signore degli anelli": la critica cattolica accusa Tolkien di non aver dato spazio, nella sua opera, alla religione. In una lettera, lo scrittore inglese replica alle accuse definendo lo scritto una pura opera di fantasia. Più tardi, in un processo di presa di coscienza, nella lettera 142, scriverà: «'Il Signore degli anelli' è un'opera fondamentalmente religiosa e cattolica; all'inizio ne ero inconsapevole, ne sono divenuto consapevole durante la correzione». I tempi maturano e, con essi, la consapevolezza dell'opera data alla luce: "Il Signore degli anelli" contiene una visione escatologica e si articola attraverso una struttura legata a un disegno provvidenziale, i personaggi sono animati, nelle proprie gesta, da virtù cristiane e, in alcuni casi, si ispirano alle figure sacre. Ma attenzione - mette in guardia Wu Ming 4 - i personaggi possono ispirarsi a modelli, ma si configurano a partire da contorni propri e ben definiti e non assimilabili ad altro, come a dire: nella Terra di Mezzo, il mondo dove si svolge la saga, l'individualità è un assoluto. La discussione si sposta poi sui videogiochi e sulle trasposizioni cinematografiche, sulla saturazione dell'immaginario visivo e sulla discutibilità di certe scelte operate dal regista Peter Jackson e dagli sceneggiatori in fase di adattamento cinematografico. Quel che resta, alla fine dell'evento, è la sensazione di aver bypassato alcuni stereotipi che avvolgono Tolkien e le sue opere, e di essersi avvicinati un po' di più all'essenza delle cose, ma senza velleità ermeneutiche, perché «non siamo vincolati per sempre a ciò che si trova entro i confini del mondo, e al di là di essi vi è più dei ricordi. Addio!» ("Annali dei Re e Governatori", "La storia di Aragorn e Arwen").