07/09/2014

SILENZIO, PER FAVORE

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«Prendevo appunti da diversi anni, all'inizio sotto forma di note, e quando mi sono messo a scrivere ho creduto di suonare. Più penso al silenzio più mi sembra di sentire la musica». Da molti anni Mario Brunello è alla ricerca del silenzio. Lo insegue col suo violoncello sui palchi dei teatri del mondo intero, sulle montagne, in mezzo al deserto africano, tra le periferie industriali. Lo cerca nel fragile istante prima di attaccare con l'archetto le corde del suo strumento, nella mente del compositore di cui esegue una partitura, immaginando il momento in cui si affaccia un'idea e si compie la magia della creazione.

Una ricerca di musicalità assoluta, a cui si sono dedicati nei secoli i più grandi musicisti.
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Il caldo che avvolge l'auditorium del Conservatorio "Campiani" non rovina l'atmosfera creata dalla lezione di Mario Brunello. Il violoncellista veneto ha estratto il suo prezioso strumento (un "Maggini" del Seicento) dalla custodia rossa, già immortalata dalla narrazione di Davide Longo in un evento a due del Festivaletteratura del 2011 (il titolo era "In viaggio con Bach"). Brunello ha ricercato la musica nei teatri e nei monasteri; ma la ricerca più profonda effettuata dal musicista riguarda, forse paradossalmente, il silenzio. Ne esistono due tipi, secondo Brunello: quello verticale delle montagne e quello orizzontale del deserto. Il violoncellista ha scritto un libro in cui espone, come una sonata in quattro movimenti, le sue teorie sul silenzio. Naturalmente si parte descrivendo quello in sala, durante un concerto, che non è un silenzio assoluto perché ci sono mille respiri. E poi ci sono suoni che sente solo il m musicista, come la fatica dell'archetto sulle corde. Il suono, in montagna, si disperde invece nel silenzio stesso. È un suono più artigianale, che non 'torna indietro' come nelle sale da concerto dalla buona acustica. Viene poi narrata l'importanza del silenzio nella storia della musica. L'introduzione della polifonia, cioè quello stile compositivo che combina più voci (vocali o strumentali) indipendenti, porta al riconoscimento del silenzio, cioè all'importanza delle pause. Esse si evolvono simultaneamente nel corso della composizione, mantenendosi differenti l'una dall'altra sia dal punto di vista melodico che ritmico, pur essendo regolate da principi armonici. È però Beethoven il primo musicista che dà una vera e propria dignità al silenzio. Fino a Schubert, che descriverà il silenzio come l'ottava nota. Viene poi raccontata la storia di John Cage, tra i più innovativi musicisti della storia, il quale sosteneva che il silenzio puro non esisterebbe. Brunello sembra confermare la teoria di Cage. Raccontando al pubblico la storia della celebre "4' 33''", composizione del 1952 per qualunque strumento musicale. Lo spartito (ne esiste uno!) spiega all'esecutore di non suonare per tutta la durata del brano nei tre movimenti (il pentagramma riporta «tacet»). Ecco allora che Brunello imbraccia lo strumento e resta in silenzio. Nelle intenzioni dell'autore, la composizione consisterebbe nei suoni emessi nel luogo in cui l'opera viene eseguita, dando un'idea dell'importanza dell'ambiente stesso. Il fatto che molti dei presenti tra il pubblico mantovano, durante l'esecuzione dell'opera, si mettano a scattare foto (sic) sembra confermare le teorie di Cage e Brunello!

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