06/09/2017

LA DOLOROSA EMOZIONE DELL'ARTE

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«È inutile che lo spettatore cerchi nella visione di un'opera d'arte qualcosa che lo consoli. Troverà solo qualcosa che lo dilanierà. Starà a lui decidere come adoperarlo». Dolore e bellezza sono le note a cui si intonano la vita e l'avventura intellettuale di Lea Vergine, critica d'arte tra le più acute e originali degli ultimi cinquant'anni in Italia. Autrice di volumi fondamentali come "Il corpo come linguaggio" e "Attraverso l'arte/Pratica politica" e organizzatrice di mostre che spesso hanno destabilizzato il comune sentire dell'Accademia. Con "L'arte non è faccenda di persone perbene" ha ricostruito l'intenso percorso esistenziale che l'ha portata ad abbandonare l'amata Napoli dell'infanzia prima per Roma e poi per Milano, per dedicarsi a un culto dell'arte come ricerca rigorosa e morale del bello e come rifiuto di ogni estetismo. Ad accompagnarla in questo viaggio intimo e pubblico allo stesso tempo sono Luciana Castellina, protagonista delle lotte politiche e femministe degli anni '60 e '70, e il giornalista Antonio Gnoli. Coordina l'incontro Chiara Gatti, giornalista e critica d'arte.
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Italiano
«L'arte non è faccenda di persone perbene». I 'perbene' di Lea Vergine visitano le mostre per informarsi, per provare emozioni, o quelle che credono essere tali. Credono, perché in realtà l'arte andrebbe studiata per essere capita, nonostante l'arte - e per fortuna - sia per tutti. È per tutti, ma non consola. E, soprattutto, non insegna niente sulla vita, così come la vita non insegna nulla dell'arte, come ci ricordano le parole di Morton Feldman nell'esergo del libro dell'autrice (Rizzoli, 2016). In un Teatro Bibiena gremito nel giorno inaugurale del Festival, oltre alla signora dell'arte ci sono Luciana Castellina - politica e giornalista, tra i fondatori del "Manifesto", e Antonio Gnoli, giornalista e saggista, coordinati da Chiara Gatti, critica d'arte e presenza importante (anche) come intervistatrice nel libro di Lea Vergine. Tra ricordi appassionati e scambi affilati, Lea Vergine con la sua Napoli, la sua Roma e la sua Milano, il suo mondo dell'arte moderna e contemporanea, i suoi sentimenti, la sua bellezza, la sua vita. «Purtroppo le opere d'arte arrivano quasi tutte dalla sofferenza»: l'incontro inizia con una citazione dal libro, a far emergere con chiarezza il punto di vista della critica, che ha segnato un (lungo e denso) capitolo di storia legato al mondo dell'arte in Italia, dal secondo Dopoguerra. L'arte per sua natura non può non essere conflitto, non può non essere contrasto. E proprio in questo viene a mancare il suo aspetto consolatorio: il bello, infatti, non per forza coincide con il buono e questa scissione, questa lacerazione è la condizione da cui partire per valutare la validità di un'opera d'arte. Di certo, sottolinea Lea Vergine, «Non si va a vedere il Botticelli o il Mantegna per avere gioia, pace e serenità». Tuttavia, nelle persone perbene prevale il pregiudizio rispetto a un giudizio consapevole e pronto, mentre bisognerebbe pensare all'arte come a un profondo stravolgimento che proprio i segni e i segnali dell'arte causano. Attenzione, però: l'arte non è dolorosa in sé, ma mette a confronto l'uomo con il suo lato oscuro. E può dunque essere crudele, l'arte, così come può esserlo anche l'artista: isolato e lacerato tra la sua creazione e il resto del mondo, dove molto spesso gli altri non esistono.

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