Una vita divisa in due parti: Alexsandar Hemon (a Mantova nel 2014) è nato a Sarajevo nel 1969, lasciò la città nel 1992 ricostruendosi una nuova vita negli Stati Uniti. Il libro delle mie vite è sì un racconto autobiografico, ma, come molte autobiografie, è una scheggia di storia personale che si inserisce nella storia di una collettività. La guerra ha creato una scissione nelle vite di molti, scissione concreta nel caso di Hemon: la gioventù nella Jugoslavia degli anni ‘80, l’arrivo della guerra, l’assedio di Sarajevo, lo sbarco nel nuovo mondo, la difficoltà a ricominciare. Non è un caso che un altro dei libri più apprezzati di Hemon sia Il progetto Lazarus, in cui l’autore crea una specie di suo alter ego per ricostruire la storia di un immigrato europeo nella Chicago di inizio 900.
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Cose che prima stavano insieme e poi si frantumano: il giornalista e scrittore Gigi Riva ha raccontato ne L’ultimo Rigore di Faruk (a Festivaletteratura nel 2016) la storia della nazionale di calcio jugoslava ai mondiali d’Italia 90. Quella squadra era il simbolo di uno stato che si stava già disgregando, tenuta insieme anche dalla propaganda e destinata a rimanere una delle grandi incompiute della storia del calcio per talento e potenzialità. Il rigore sbagliato da Faruk contro l’Argentina diventa un momento simbolico, nel ripercorrerlo è come se mettesse insieme l’uscita da un mondiale e l’uscita dalla storia della Jugoslavia che fu. Riva mette in risalto anche il ruolo affatto secondario dello sport nel paese balcanico, strumento allo stesso tempi di costruzione e disgregazione di una identità nazionale.
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Il boia in casa: La figlia di Clara Uson è la storia, in parte romanzata e in parte ricostruita, di Ana, la figlia di Ratko Mladic; Il libro (scoperto a Festivaletteratura nel 2013) ti fa entrare nella vita intima dei protagonisti, realmente esistiti. Una prospettiva completamente diversa dalla quale osservare la tragedia, una tragedia che diventa racconto quotidiano. Oltre alla drammatica storia di Ana, ciò che resta impresso sono le scene ambientate nell’appartamento di Mladic, in salotto o in cucina, come a far vedere che la storia è anche l’insieme di momenti all’apparenza banali. Un discorso davanti a un caffè per progettare un genocidio, la porta socchiusa della camera di Ana da dove entrano frammenti di queste parole.
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