08/09/2006

UN'ASSENZA APPARECCHIATA PER CENA
 - Il tema del dolore nell'opera di Fabrizio De André


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Fabrizio De André ha partecipato più volte nell'arco della sua opera all'esperienza del dolore a volte esorcizzandolo con paradossale ironia, a volte cantandolo con intima e sincera sofferenza. Da queste suggestioni nasce il confronto tra un regista, un filosofo e un narratore, lettori partecipi dell'opera di De André, che ci riporta alla rappresentazione e all'elaborazione di "un'assenza apparecchiata per cena". Conduce l'incontro Marco Gaetani, docente di Etica all'Università di Siena.
 In collaborazione con la Fondazione Fabrizio De André.

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Italiano
«De Andrè, struggente cantore della poesia del nostro tempo». Con queste parole Marco Gaetani a Palazzo di San Sebastiano ha introdotto l'evento che ha visto protagonista Il tema del dolore nell'opera di Fabrizio De Andrè, commentato da Salvatore Natoli, Salvatore Niffoi e Marco Bellocchio. Niffoi ha evidenziato come il senso del pudore nel parlare di dolore e di prossimo colpito dal dolore accomuni De Andrè alla Sardegna, terra tanto amata al cantautore. De Andrè sapeva aiutare ill prossimo, l'amico colpito dal dolore con la sua vicinanza, se non fisica almeno spirituale. Più in generale De Andrè condivideva il dolore degli ultimi del mondo. Dopo la tragica esperienza del sequestro seppe anche provare comprensione per i suoi rapitori, gente che aveva sbagliato, offrendoci una vera lezione di vita e di etica. Secondo Natoli il narratore disegna le pieghe dell'esperienza, esplicando il senso della pena di esistere: è la vita come trama della sofferenza nella quale però l'esperienza dell'amore diviene diamantina, è la vita filosofica che diviene sapienza di vivere. De Andrè è altresì un cantastorie che a volte parla in modo grottesco del dolore per trasfigurarlo e spiegare che spesso è un dolore innocente che deriva dalla natura e non è imputabile all'opera umana, al contrario del dolore che deriva dalla colpa e che gli uomini si infliggono reciprocamente, cercando di schiacciare gli ultimi. È quest'ultima una severa censura della società basata sulla prevaricazione. Il dolore innocente è però capace di divenire amore: si ricorda la canzone "Via del Campo", che parla di una dolce prostituta: «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori». Il dolore innocente è dolore fecondo. Il dolore è anche consapevolezza della caducità della vita; De Andrè ci offre il rimedio a questa caducità: più amiamo, più sconfiggiamo la caducità della vita. Per Bellocchio il dolore è un sentimento che connatura l'essere umano; chi non sente dolore è «pazzo». Ma si innesta qui la contrapposizione tra la cultura greca che ritiene che il dolore possa tramutarsi in conoscenza e la cultura cristiana, che vive il dolore come espiazione della colpa. Secondo De Andrè la conoscenza non deriva però dal dolore, ma, come per l'Ulisse dantesco, dal sentimento di non appagamento che spinge l'uomo a vivere nuove esperienze: è questo che per Bellocchio fa riconoscere il vero artista che è consapevole del proprio non appagamento e si pone alla ricerca di nuove realtà. E De Andrè era un uomo che attraverso il tema del dolore che si trasfigura nella ricerca dell'amore è paradigma dell'artista consapevole del dolore che, pur senza la certezza di riuscirvi, si sforza di trovare, attraverso la pietà per chi soffre, l'amore.

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