11/09/2009
IRÈNE NÉMIROVSKY, MIA MADRE
2009_09_11_080
Quando Irène Némirovsky fu prelevata da casa per essere deportata ad Auschwitz, lasciò una valigia di cuoio con i suoi quaderni nelle mani della figlia tredicenne. Solo sessant'anni più tardi Denise si convinse a leggere quei quaderni e a trascriverne il contenuto. Ha avuto inizio in questo modo il meticoloso lavoro di edizione che ha portato alla pubblicazione di "Suite francese", potente affresco dell'occupazione nazista in Francia scritto nel corso degli eventi e capolavoro incompiuto della scrittrice franco-ucraina. Nella sua autobiografia "Survivre et vivre", Denise Epstein ripercorre questa emozionante vicenda e insieme raccoglie i ricordi della madre. La incontra la giornalista Marina Gersony.
L'evento 080 ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma. Originariamente il suo svolgimento era previsto presso il Teatro Ariston.
L'evento 080 ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma. Originariamente il suo svolgimento era previsto presso il Teatro Ariston.
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Francese
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Venerdì alle 15:00 a Palazzo San Sebastiano si è tenuto l'incontro con Denise Epstein, figlia di Irène Némirovsky, scrittrice di origine russa deportata ad Auschwitz, dove è morta nel 1942. La sua opera, in lingua francese, è stata pubblicata per la maggior parte postuma, a più di sessant'anni dalla morte. Intervistata da Marina Gersony, Denise Epstein ha ricordato con riserbo e dolore la figura della madre, donna tenera e affettuosa, ma anche il padre, Michel Epstein, «uomo libero che permise a sua moglie di essere una donna libera», e diventare così una grande scrittrice. Ha ringraziato gli autori della biografia della madre, Olivier Philipponat e Patrick Lienhardt, pubblicata in Italia da Adelphi, e ha parlato infine del mestiere dello scrittore, svolto unicamente per preservare la storia e la memoria di chi è scomparso, al quale si dedica con la stessa devozione con la quale ha custodito i manoscritti della madre, chiusi per anni in una valigia, divenuta ormai un simbolo.