12/09/2009

FARE LA PACE CON I 'CATTIVI'


2009_09_12_129
Nelle semplificazioni giornalistiche capita spesso che si bollino genericamente come «movimenti terroristici» tutti quei gruppi che hanno intrapreso la strada del confronto armato contro i governi più o meno legittimamente costituiti. In molte di queste situazioni, il successo dei negoziati di pace è stato raggiunto soltanto quando si è arrivati a un riconoscimento di questi gruppi e delle loro ragioni politiche. Una scelta sempre molto delicata e che inevitabilmente provoca accese polemiche. È giusto ad esempio trattare oggi con Hamas o con Hezbollah come in passato si è trattato in Irlanda con il Sinn Féin o in Spagna con l'ETA? Don Matteo Zuppi, assistente ecclesiastico della Comunità di Sant'Egidio e negoziatore delle paci in Mozambico e in Burundi ne parla con Paola Caridi, studiosa del mondo arabo e autrice di "Hamas". 
 In coda all'evento 129 è stato presentato un breve filmato dal titolo "Gaza: liberi di morire". Il film è parte integrante del programma culturale della ONG Fondazione Monte Verità.
English version not available
Italiano
«La cattiveria è l'altra faccia di una storia che spesso non vediamo. Se ci dimentichiamo di questo, ci possiamo sentire buoni e giustificare la violenza per punire il cattivo». Paola Caridi, giornalista e storica, e Matteo Zuppi, parroco della Basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma e assistente ecclesiastico presso la Comunità di Sant'Egidio, si interrogano sulla necessità di confrontarsi con i «cattivi». È necessario riconoscere i gruppi che hanno intrapreso la strada della lotta armata contro governi più o meno legittimi, per poter arrivare a negoziati di pace efficaci e duraturi. Non si può pretendere che gruppi etnici in conflitto possano arrivare a riconoscere una storia comune, ma è necessario confrontare le rispettive storie parallele per arrivare ad un riconoscimento dell'altro. È ciò che è stato fatto in Burundi, nella lotta fra Hutu e Tutsi, e che sarebbe forse necessario fare riguardo al conflitto palestinese. Bisogna capire che «a tenere qualcuno per cinquant'anni nei campi profughi, se poi diventa cattivo, qualche ragione ci sarà».

1Luoghi collegati

1Rassegne e temi correlati