09/09/2011
CABARET YIDDISH
2011_09_09_101
«Il teatro yiddish... non fu e non è solo un'eredità ebraica, ma è, a tutti gli effetti anche un'eredità europea e occidentale, un pilastro per edificare un mondo libero dalla peste razzista e dal veleno nazionalista». Chi meglio di Moni Ovadia poteva presentare al pubblico del festival l'antica tradizione del teatro yiddish, protagonista del romanzo di Yirmi Pinkus? Lo scrittore e artista israeliano potrà così raccontare il lungo lavoro documentario su cui è basato "Il folle cabaret del professor Fabrikant" e, insieme all'autore di Il popolo dell'esilio, riflettere sulle scelte stilistiche, sulla scrittura, sulle immagini che accompagnano la storia.
Con il contributo dell'Ufficio Culturale dell'Ambasciata di Israele in Italia.
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Ebraico
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Tendone gremito anche sotto il sole delle 14.00 oggi a Palazzo San Sebastiano per assistere a Cabaret Yiddish, in cui Moni Ovadia ha introdotto alla lettura del romanzo di Yirmi Pinkus, Il folle cabaret del professor Fabrikant. Introduzione alla lettura e non presentazione del racconto perché, come ricorda Ovadia, così insegna la storiella di quell'ebreo che entrò in una libreria e iniziò a leggere un libro e, alla domanda del libraio che chiedeva se intendesse acquistare il volume, rispose: «Piano: prima devo finire di leggere per sapere se ne vale la pena!».
Moni Ovadia ha letto il romanzo di Pinkus e sa che 'deve' essere letto! Il dialogo tra i due ha raccontato di un romanzo incentrato sul teatro yiddish e animato da personaggi vivi e umanissimi, illuminati dallo splendido humor del loro autore. Il pubblico, interessatissimo, ha contribuito alla discussione con spunti che chiedevano approfondimenti sul confronto tra il teatro yiddish e quello israeliano contemporaneo, sul ruolo delle donne nei drammi yiddish e su questa lingua sempre aperta ad essere arricchita da nuovi incontri, come il popolo che l'ha creata.
Il cuore di "Il folle cabaret del professor Fabrikant", il romanzo di Yirmi Pinkus presentato oggi al Palazzo San Sebastiano da Moni Ovadia, è il teatro yiddish. Ma quali sono le caratteristiche di questo teatro che tanto ha affascinato Pinkus al punto da farglielo preferire al teatro contemporaneo israeliano? È un teatro di avanguardia, che si recita in una lingua che è parlata in dieci paesi diversi ma non ha una patria, che è quindi una lingua sovversiva rispetto a qualunque nazionalismo, e soprattutto è una lingua 'femminile', non maschile: è una lingua 'non violenta' perché nessun esercito ha mai ricevuto ordini in yiddish: per questo motivo, Ben Gurion, padre del Sionismo, la bandì dal nascente Israele che infatti non la usa... Pinkus è una felice eccezione! Lo yiddish è la lingua di un popolo di esiliati, nata dall'incontro di lingue e culture diverse: è una lingua in cui uniformità e alterità hanno una patria comune, la lingua di un'Europa che gli ebrei che vissero prima della seconda guerra mondiale avevano prefigurato, ma che noi abbiamo perso. Il teatro creato in questa lingua è vivo e coinvolgente e azzera la distanza tra attore e pubblico: se sul palco qualcuno starnuta, dal pubblico qualcuno risponde salute! I personaggi del romanzo che gravitano attorno a questo teatro sono caratteri vivaci e umanissimi, raccontati con una naturalezza e un attaccamento al vero tali da apparire reali e vivi. Un esempio sono i nani ebrei transilvani ispirati alla storia di cinque nani ebrei che negli anni '20 giravano la Romania facendo musica: questa loro caratteristica attirò l'attenzione di Mengele che li volle studiare con i loro familiari. I nani compresero quanto questo poteva comportare: indicarono altri 35 prigionieri di Auschwitz come loro parenti solo perché ciò, sebbene li avrebbe esposti agli esperimenti del folle dottore, gli avrebbe garantito di rimanere in vita... Come ha commentato Ovadia, la trasformazione di un handicap in una marcia in più... caratteristica di un popolo che ha attraversato secoli di ostilità col sorriso sulle labbra.
Moni Ovadia ha letto il romanzo di Pinkus e sa che 'deve' essere letto! Il dialogo tra i due ha raccontato di un romanzo incentrato sul teatro yiddish e animato da personaggi vivi e umanissimi, illuminati dallo splendido humor del loro autore. Il pubblico, interessatissimo, ha contribuito alla discussione con spunti che chiedevano approfondimenti sul confronto tra il teatro yiddish e quello israeliano contemporaneo, sul ruolo delle donne nei drammi yiddish e su questa lingua sempre aperta ad essere arricchita da nuovi incontri, come il popolo che l'ha creata.
Il cuore di "Il folle cabaret del professor Fabrikant", il romanzo di Yirmi Pinkus presentato oggi al Palazzo San Sebastiano da Moni Ovadia, è il teatro yiddish. Ma quali sono le caratteristiche di questo teatro che tanto ha affascinato Pinkus al punto da farglielo preferire al teatro contemporaneo israeliano? È un teatro di avanguardia, che si recita in una lingua che è parlata in dieci paesi diversi ma non ha una patria, che è quindi una lingua sovversiva rispetto a qualunque nazionalismo, e soprattutto è una lingua 'femminile', non maschile: è una lingua 'non violenta' perché nessun esercito ha mai ricevuto ordini in yiddish: per questo motivo, Ben Gurion, padre del Sionismo, la bandì dal nascente Israele che infatti non la usa... Pinkus è una felice eccezione! Lo yiddish è la lingua di un popolo di esiliati, nata dall'incontro di lingue e culture diverse: è una lingua in cui uniformità e alterità hanno una patria comune, la lingua di un'Europa che gli ebrei che vissero prima della seconda guerra mondiale avevano prefigurato, ma che noi abbiamo perso. Il teatro creato in questa lingua è vivo e coinvolgente e azzera la distanza tra attore e pubblico: se sul palco qualcuno starnuta, dal pubblico qualcuno risponde salute! I personaggi del romanzo che gravitano attorno a questo teatro sono caratteri vivaci e umanissimi, raccontati con una naturalezza e un attaccamento al vero tali da apparire reali e vivi. Un esempio sono i nani ebrei transilvani ispirati alla storia di cinque nani ebrei che negli anni '20 giravano la Romania facendo musica: questa loro caratteristica attirò l'attenzione di Mengele che li volle studiare con i loro familiari. I nani compresero quanto questo poteva comportare: indicarono altri 35 prigionieri di Auschwitz come loro parenti solo perché ciò, sebbene li avrebbe esposti agli esperimenti del folle dottore, gli avrebbe garantito di rimanere in vita... Come ha commentato Ovadia, la trasformazione di un handicap in una marcia in più... caratteristica di un popolo che ha attraversato secoli di ostilità col sorriso sulle labbra.