09/09/2011

RIVOLUZIONE!

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Li aveva raccontati disperati, umiliati, battuti e poveri. È diventato, attraverso le loro storie, lo scrittore egiziano più conosciuto nel suo paese e nel mondo. Poi, il 25 gennaio del 2011, 'Ala al Aswani ha ritrovato i personaggi dei suoi romanzi lì a piazza Tahrir, al Cairo, a fare la rivoluzione e a rovesciare Hosni Mubarak. Non è un caso, quindi, che Aswani avesse già elencato, almeno nei cinque anni precedenti, le ragioni dell'insurrezione negli articoli settimanali che pubblicava sui pochi giornali indipendenti. Ora quegli articoli raccolti nel suo ultimo libro, La Rivoluzione Egiziana, raccontano anche agli italiani come e soprattutto perché il popolo egiziano si è sollevato, chiedendo libertà. Lo incontra la giornalista e blogger Paola Caridi.
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Il cortile della cavallerizza è pieno come nelle migliori occasioni, quando i grandi autori del Festivaletteratura fanno il bagno di folla. Ma questa volta l'invitato numero uno è 'Ala Aswani, anzi è la gente d'Egitto di cui lui racconta, gente capace di ritrovare il coraggio e lottare a viso aperto contro un potere che sembrava impossibile anche solo da scalfire.
Il pubblico è attento quando 'Ala Aswani racconta delle 18 giornate di piazza Tahrir, ed è pronto a scoppiare in applausi scroscianti ogni volta che termina un discorso. Sembra quasi che il pubblico si senta in piazza Tahrir, o meglio, che si voglia sentire in piazza Tahrir. Gli sguardi di moltissimi di loro si spingono oltre il faccione gioviale di 'Ala Aswani, si spingono lontano, come fa lo sguardo dei sognatori.
I moti che hanno scosso il nord Africa hanno segnato anche noi. Forse è stato il semplice e comune eroismo che ha portato la gente d'Egitto a cambiare, a strappare il proprio dittatore dal suo scranno e portarlo in tribunale. Forse è stato il fatto di rivedere, nelle immagini di piazza Tahrir che scorrevano sulle nostre televisioni, alcune delle immagini che popolano i nostri sogni, sogni che ci vedono nelle nostre di piazze, a protestare e a lottare per la nostra dignità.
Ma purtroppo, per ora, sono immagini che restano nei sogni, e quando l'evento finisce il pubblico si risveglia e se ne va dal crotile della Cavallerizza, come sempre. Ed è questo il vero peccato.

Il 6 giugno del 2010, due agenti di polizia entrano in un internet café a Sidi Gaber, vicino ad Alessandria d'Egitto, e chiedono ai presenti i documenti, senza alcun mandato. Uno dei giovani presenti si rifiuta. A quel punto i poliziotti lo portano fuori, in strada, lo picchiano selvaggiamente fino a spaccargli il cranio su una lastra di marmo, uccidendolo. Si chiamava Khaled Said, aveva 28 anni, e probabilmente non si immaginava neppure tutto quello che sarebbe successo poco più di sei mesi dopo in piazza Tahrir.
La storia tragica di questo ragazzo, spiega 'Ala al-Aswani davanti al foltissimo pubblico accorso nel Cortile della Cavallerizza, è stata una delle tre scintille che hanno permesso agli egiziani di vincere la paura che da trent'anni li attanagliava. Nei giorni successivi al brutale omicidio di Khalid Said, infatti, quella paura che spingeva la gente a cercare di coltivare e di proteggere il proprio «piccolo angolo di mondo sicuro», come lo chiama Al-Aswani, iniziava a mostrare i primi segni di cedimento.
Questo processo, iniziato con il grande sciopero promosso da una rete di attiviste aveva scosso il paese del 2008 e continuato con l'omicidio di Said, ha il suo culmine a fine 2010. Le elezioni di novembre, infatti, ancora una volta danno la maggioranza assoluta del parlamento a Mubarak. La certezza dei brogli provoca un grande moto di rabbia popolare che si sfoga nelle strade provocando un morto e numerosissimi feriti. Nemmeno due mesi dopo, il 25 gennaio del 2011, la protesta esplode, come una liberazione, occupando le piazze della maggior parte delle città. Una sola però diventerà il simbolo dello storico avvenimento: piazza Tahrir.
'Ala al-Aswani in piazza Tahrir è rimasto praticamente ad oltranza, tenendo discorsi davanti a una folla incontabile - si parla di due milioni di persone. Li tiene quasi ogni notte, parla della situazione del paese, informando e condividendo informazioni e probabilmente rabbia. Per 18 giorni piazza Tahrir è occupata permanentemente dai manifestanti. Si sta facendo la rivoluzione e la gente è cambiata. I cecchini li tengono d'occhio e cercano di far paura a quella folla straripante. Al-Aswani racconta che di notte il mirino laser dei tiratori scelti - e ben pagati - dal regime, accarezzava le sagome della gente e ogni tanto sparava, a colpo sicuro, in piena fronte.
Ma ormai la paura è sparita dalla mente delle persone che restano notti e giorni interi in piazza, accampati, vivendo dei doni di cibo e di viveri che sconosciuti benefattori portavano loro. Si dice che in momenti come questi un individuo perda la nozione di essere un 'Io' acquisendo la consapevolezza di essere un 'Noi' un organismo sociale complesso e imbattibile. Non credo che ci siano altre spiegazioni per capire il motivo di quel coraggio. È un coraggio così lontano dalle nostre vite che sembra inimmaginabile, ma che sembrava inimmaginabile anche a chi ha vissuto quei momenti, anche allo stesso Al-Aswani.
È proprio quel coraggio che ha permesso agli egiziani di portare a giudizio Mubarak, l'ex padre di tutti gli egiziani, il dittatore. È quel coraggio che ha permesso, racconta sempre Al-Aswani, a un uomo solo e disarmato di saltare addosso a un poliziotto che con il suo mitra sparava sulla folla, prenderlo per il collo e fermarlo. Ed è sempre quello stesso coraggio che ha fatto sì che alcuni poliziotti accorsi ad aiutare il loro commilitone aggredito, seppur fossero armati fino ai denti, indietreggiassero davanti a quel ragazzo, impauriti.
Ora, non sappiamo ancora quale sarà il destino degli egiziani. Sappiamo solo che tutt'ora continuano a ritrovarsi in piazza Tahrir, diventata ormai un parlamento popolare permanente e che Mubarak, seppur in barella, viene giudicato nella stessa cella del tribunale che ha ospitato un numero imprecisato di detenuti politici. Ma sappiamo anche che cosa sono capaci di fare gli egiziani nel caso che sulla strada che dovrebbe portare alla costituzione di un governo legittimo e democratico trovassero qualche ostacolo. 

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