06/09/2012

Jón Kalman Stefánsson con Bruno Gambarotta

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«I mesi che passava lontano da casa erano interamente dedicati al lavoro, alla lotta per la sopravvivenza e per tenere lontana la miseria, ma il tempo libero era dedicato alla lettura. Eravamo incorreggibili. Pensavamo sempre ai libri, eravamo tutti eccitati, completamente esaltati se sentivamo parlare di un nuovo libro interessante, immaginavamo come potesse essere, discutevamo del possibile argomento la sera, dopo che vi eravate addormentati». Paesaggi fisici e paesaggi dell'anima si alternano, si scontrano, si completano nei romanzi dello scrittore islandese ("Paradiso e inferno"; "La tristezza degli angeli"), intervistato da Bruno Gambarotta.

Con il contributo di Icelandic Literature Fund.
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Italiano
Stefànsson è un uomo molto espressivo. Il suo volto sembra essere abituato a contrarsi alla stessa maniera per sorridere e per contrastare il freddo della sua Islanda. Sorride e scherza incalzato da un frizzante Bruno Gambarotta, il quale gli dimostra subito tutta la sua stima «ricordatevi di oggi, perché di certo quando Stefànsson vincerà il Nobel per la letteratura ve ne ricorderete». 
Alle prime domande, l'autore di "Paradiso e inferno" mette subito in luce la genesi della sua scrittura: «scrivo senza pensare». Un talento, visti i risultati, che spetta a pochi.
 La sua letteratura è un mondo evocato dalla propria intimità, una poesia che nasce intatta dal rapporto con la sua terra. La selvaggia, lontana Islanda. «Non è vero che siamo trecentomila in Islanda. Siamo in tre milioni. Per noi contano anche i morti e i fantasmi». Una terra, quell'isola, dove la natura si fonde con l'animo umano, partorendo così una creatura popolata da tutti i suoi echi tradizionali e spirituali. Le opere di Stefànsson sono una prova inequivocabile. 
«Kalman era un poeta prima di scrivere romanzi», ricorda Gambarotta: solo così si può spiegare il suo stile fluido e profondo. Solo così si spiega l'autocoscienza maturata sulla relazione tra il lettore e lo scrittore: «Sono i lettori che hanno il ruolo più importante. Io scrivo per cambiare le cose, ma soltanto chi legge può farlo». Come dire, le poesie, le opere, sono di chi legge. 
Le domande del pubblico lo portano a parlare dei più disparati argomenti: dal clima islandese al sogno adolescenziale di diventare cantante e chitarrista, dall'importanza della natura alla difficile emancipazione del mondo femminile dalle sue parti. 
E il suo libro? "Paradiso e Inferno"? L'autore risponde amabilmente a qualche domanda, ma si tiene sempre alla larga dall'esprimere la sua poetica. Sembra dire: «ci sono cose che non si possono spiegare, soltanto leggere». Ecco perché del suo romanzo non si deve raccontare nulla: sarebbe come raccontare una lunga poesia nordica.

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