06/09/2012
TRA LE CARTE DI ALDO MORO
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Le lettere e il memoriale che Aldo Moro scrisse nella primavera del 1978 sono il prodotto di una storia violenta e crudele. Sono 97 le lettere e 245 le pagine del memoriale di cui oggi siamo in possesso: come per i manoscritti dei classici della nostra letteratura, dalla diffusione di queste carte durante i giorni del sequestro, dal loro rinvenimento successivo e dallo stato in cui sono pervenute fino a noi, è possibile ricostruire la loro 'fortuna', ovvero - nel caso dei documenti di Moro - l'uso che ne è stato fatto nell'ottica della strategia brigatista, nella risposta dello Stato al sequestro, nell'oscura gestione delle indagini, permettendoci di dare nuova luce a una delle vicende più tragiche della storia repubblicana. A interrogare gli scritti dalla prigionia di Aldo Moro, insieme al giornalista Bruno Manfellotto, sono Miguel Gotor (autore di "Il memoriale della Repubblica") e Michele Di Sivo, dell'Archivio di Stato di Roma, che ha seguito il recente restauro delle lettere dello statista democristiano.
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La Storia permette - sempre - di mettere in discussione il passato e di capire in profondità cosa significa 'cercare la verità'. La storia personale, inoltre, s'intreccia e si lega saldamente alle storie collettive creando una larga base di opinioni, ricordi, memorie e testimonianze che, spesso, sono la Storia a tutti gli effetti, soprattutto se il passato è recente. In Italia abbiamo appassionanti scheletri nell'armadio che risalgono, in particolar modo, al periodo 1948-1978, non a caso gli anni messi in discussione nel "Memoriale della Repubblica" (Einaudi). Questo è importante: non un memoriale di Aldo Moro, ma della Repubblica. Di tutti noi, quindi. Dello Stato, della politica, della vita comune. Durante la prigionia del politico democristiano (rapito dalle BR il 16 marzo 1978 e assassinato, o meglio, ritrovato in Via Fani il 9 maggio dello stesso anno) vennero scritte fitte pagine da lui stesso ritrovate in tre fasi: quelle ricevute e pubblicate durante il sequestro - 1978 -, alcuni mesi dopo la morte di Moro a Roma e, infine, nel 1990 nel covo di Monte Nevoso a Milano. Si provi a pensare a quanto le cose sarebbero cambiate al termine della Guerra Fredda, a cosa sarebbe significato per l'opinione pubblica e per i diretti protagonisti della vicenda ricevere missive 12 anni dopo. Il discorso sarebbe lungo e, durante lo stesso evento, sembrava di non poter dare una conclusione a nessuna domanda perché ogni risposta metteva sul piatto nuovi interrogativi. Quando si parla, e si studia, di storia recente risulta davvero complesso arrivare a chiudere il cerchio. Perché, probabilmente, devono passare ancora 20, 30 o 100 anni. Quel che è certo è che Aldo Moro non era un regicidio: altrimenti lui e poliziotti sarebbero stati eliminati insieme. Il lavoro delle BR fu quello di 'destabilizzazione politica'. Una tragedia del potere che, col senno di poi, avrebbe ancora molto da dire.