05/09/2013
ALLA SCOPERTA DEI VINI NATURALI
2013_09_05_027
«Si fabbricano i vini attraverso protocolli enologici rigidi ed omologanti, incentrati sulla chimica e sulle tecnologie dell'industria alimentare. (...) Così un gusto "medio", paradigmatico, borghese ed innocuo si fa pietra di paragone del bello e del buono». Corrado Dottori produce vino naturale. Ha abbandonato un posto in banca e oggi fa il contadino, interpretando questo mestiere con nuova consapevolezza etica e ambientale, in un momento in cui le pratiche degli agricoltori risultano decisive per innescare un cambiamento, per la difesa del territorio e delle sue risorse. Con Giovanni Bietti, musicologo e grande conoscitore del vino naturale, e Fabio Giavedoni, curatore di Slow Wine, l'autore di Non è il vino dell'enologo ci spiega che cos'è un vino naturale e che cosa significa produrlo in termini di lavoro e di valori. In accompagnamento alla degustazione quattro Presidi Slow Food: Salame di Fabriano, Cicerchia di Serra de' Conti, Mosciolo selvatico di Portonovo e Lonzino di fico.
L'evento ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma.
Inizialmente era prevista la presenza di Fabio Giavedoni.
L'evento ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma.
Inizialmente era prevista la presenza di Fabio Giavedoni.
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Italiano
Qui non siamo seduti come ad una noiosa lezione o ad una ingessata conferenza: siamo seduti a tavola sotto un porticato di un'aristocratica villa mantovana, tra ciò che resta di antichi affreschi, travi a vista e rallegrati da una piacevole brezza settembrina. Cosa desiderare di più da un banchetto, se non proprio quest'aria di leggerezza profumata di aromi che escono dalla cucina di Casa Slow? Ed è proprio in questo contesto che si apre l''evento-degustazione' in compagnia del vignaiolo Corrado Dottori e del poliedrico Giovanni Bietti. Siamo in un festival dedicato alla letteratura, alla lettura, alle parole e anche questo evento così composito e trasversale nel suo profondo rende omaggio alla manifestazione di Mantova: gli ospiti non parleranno di vino naturale, ma di «come si parla e si scrive di vino naturale». Potrebbe sembrare un aspetto insignificante e banale, un inutile gioco di parole, eppure in sè racchiude un universo profondo e assai complesso. È quell'universo che molto spesso si tende a nascondere, a non vedere, a non sentire proprio o ad accostarlo ad altro: è l'universo della cultura, delle idee, dei fenomeni, delle trasformazioni non tangibili nell'immediato. Il vino è cultura, fare vino fa intimamente parte della cultura dell'uomo antico come di quello moderno, e da sempre è stato così. Parlare di vino significa scrivere di antropologia, di economia, di luoghi, di uomini e di tempo. E così come ciascuna categoria muta nel tempo stesso, anche chi vi si approccia muta il proprio incontro ad essa. Nel tempo si è trasformato l'oggetto - l''oggetto vino': da patrimonio agricolo e culturale (simbolo ancestrale di ospitalità) a status simbol (vini sempre più cari) o merce da supermercato (poca e scarsa qualità). Ecco quindi che si iniziano ad intuire le ragioni a circa trent'anni di approccio al vino come elemento snaturato, sviscerato e imbrigliato nelle rigide gabbie di guide e votazioni al centesimo. Niente a che fare con le vibranti e vive opere di Paolo Nelli "Viaggio attraverso i cibi e i vini d'Italia" (1935), Luigi Veranelli "Vini d'Italia" (1961) o il testo di Mario Soldati "Vino al vino" (1969). Dagli anni settanta quindi il panorama è costellato da manuali tecnici - stelle cadenti, simili a testi di agrotecnica, ma privi di qualsiasi autorevolezza e veridicità culturale. Ma la cosa ancora più triste e frustrante, secondo le molteplici ricerche di Bietti, è stato lo scoprire che quanto scritto in queste tre antiche 'opere testimonianza' ormai non esiste più, è scomparso e se ne è persa traccia. E il 'vino naturale'? Già di per sè contiene nel nome stesso un'antinomia ai più inapparente. Ai più, ma non a quei coraggiosi vignaioli, come lo stesso Corrado Dottori, che cercano di fare vino, non di produrre vino, staccandosi dalle categorie, dalle etichette e dalle gabbie di trent'anni di guide, che stanno tentando di «guardare fuori dal bicchiere» anzichè all'interno di esso. È fuori dal bicchiere infatti che si raccolgono storie di uomini, di famiglie, racconti di terre, di fatiche e di vittorie, di sfide con se stessi e con la natura. Il vino viene dalla 'terra', da quella stessa terra che ha radicato a sè l'uomo, stringendolo al territorio, alla sua storia e ancora una volta alla sua cultura. E poi, se ci si ferma a pensare, il concetto stesso di cultura - l'azione dell'uomo sulla natura - etimologicamente deriva dal termine 'coltura': un seme nella terra gettato e coccolato darà vita, sarà coltivato e diverrà cultura.
In un bicchiere di vino c'è tutto questo: niente etichette e categorie. In un bicchiere di vino c'è 'solo' questo: ed è proprio qui - in questo valore aggiunto - lo 'scherzo del vino naturale', del buon vino. La cornice è quella del festival e le parole ne stanno alla base, ne sono le naturali fondamenta, ed è in questa prospettiva che è necessaria una breve parentesi sul concetto e la figura di 'vignaiolo', un concetto entrato (rientrato) da poco nel nostro vocabolario (a differenza di quello francese nel quale il termine è da sempre presente, e ciò è davvero significativo). Il nostro Paese dalla tradizione e dalla profonda 'cultura contadina' forse si è vergognato del suo passato così legato al settore primario. Il boom economico degli anni Sessanta e Settanta ha tagliato tutto ciò che significava terra e lavoro di fatica, spianando la strada all'economia di massa e alla società dei consumi (non a caso infatto l'avvento delle prime guide al vino risalgono agli anni Settanta), e Dottori, leggendo il suo libro chiarisce cosa desidera l'uomo moderno «L'uomo economico è scisso tra lavoro e tempo libero, il secondo deve solo scivolare, scivolare via» (scivolare via come il vino artefatto che la sera seduce, ma il mattino dopo lascia un profondo mal di testa).
La figura di Dottori si inserisce in pieno in questa riscoperta - rinascita (la sua stessa biografia ne è una chiara prova), non a caso nel suo libro lui si definisce un 'vignaiolo che dissente'. Che dissente per il suo fare vino ('fare'!), dissente per il bere un bicchiere di vino come se stesse ammirando un'opera d'arte o stesse leggendo un grande capolavoro della letteratura. Tutte queste pratiche infatti non sono poi così distanti tra loro: tutte hanno in sè un'intima natura estetica che le accomuna con la pratica artistica - anche l'accostarsi ad un buon bicchiere di vino. Ovviamente i commensali hanno gustato e assaporato - non solo parole e letture, ma cibi e vini. Sono stati sorseggiati e apprezzati tre vini naturali con altrettante portate. Nell'ordine: Dolcetto 2011 di Principiano - Langhe, con spalletto viadanese e crostino di pane con lardo; Nur 2011 di Dottori - Marche, con penne con moscioli di Portonovo e cicerchia, e per finire un Barbera e Croatina di Barbieri - Oltrepo Pavese in accompagnamento a formaggi e salame di fico.