06/09/2013
LA NOSTRA RIVOLUZIONE CONTINUA
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Il 25 gennaio 2011, oltre venticinquemila egiziani scendono in piazza al Cairo, contro il trentennale regime del presidente Hosni Mubarak. Sono in gran parte giovani, determinati, dotati di una precisa coscienza politica, capaci grazie alle reti sociali di portare le loro ragioni all'attenzione del mondo. Tahrir, la loro piazza, diventa il simbolo della primavera araba. A più di due anni di distanza, il vento di protesta in Egitto ha ripreso a soffiare: segno di un processo democratico ancora incompiuto, contraddittorio, non privo di disillusioni. Ahdaf Soueif, scrittrice ("Il profumo delle notti sul Nilo") e fondatrice del Palestine Festival of Literature, ha seguito per le televisioni inglesi gli eventi di piazza Tahrir fin dalle prime manifestazioni, mescolandosi tra le persone, captandone gli umori, testimoniando l'esaltante atmosfera di quei giorni. Insieme al direttore del Festival di Hay Peter Florence, Soueif cerca di fare il punto sulle prospettive di cambiamento per l'Egitto e per tutto il mondo arabo, e sul ruolo che può giocare la promozione culturale in questo contesto.
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L'autrice Ahdaf Soueif, oggi intervistata da Peter Florence, ha mietuto successi tra i lettori di lingua anglofona, in particolare con il romanzo "The map of love", tradotto in italiano con il titolo de "Il profumo delle notti sul Nilo", titolo per altro fortemente osteggiato dall'autrice.
Quali sono le origini del rapporto di Ahdaf Soueif con la letteratura e come ha compiuto la scelta di scrivere i suoi romanzi direttamente in inglese?
Durante l'incontro veniamo a scoprire come in realtà l'autrice abbia imparato a leggere direttamente in questa lingua, durante la sua permanenza in Inghilterra tra i 4 e i 7 anni di età, mentre la famiglia si trovava a Londra per il dottorato della madre in letteratura inglese.
Appassionata lettrice di libri presi in prestito dalla libreria dello studio della madre, Ahdaf inizia quindi da subito ad approcciarsi alla letteratura e ad una lingua diversa da quella di origine, tanto che, tornata in Egitto, dovrà «re-imparare di nuovo l'arabo».
Non possiamo sapere se sia stato il prologo ad essere benaugurante, fatto sta che il suo libro "The map of love", arriva tra i finalisti del Booker Prize.
Tornando alla scelta della lingua, quando stava iniziando a iscrivere narrativa, spiega l'autrice, aveva pensato che avrebbe scritto in arabo, poi però l'inglese le è sembrato più appropriato per due motivi: da una parte trovava interessante tradurre il dialogo in arabo che 'aveva nella sua testa' (l'autrice ci aveva precedentemente raccontato di come, molto prima ancora di iniziare a scrivere, avesse già iniziato a scrivere nella sua testa) in inglese e dall'altra, non avendo a quel tempo letto i classici arabi, o avendoli letti solo nella traduzione, il suo arabo non le sembrava abbastanza raffinato e delineato per usarlo nello scrivere.
Per quanto riguarda l'ispirazione per i contenuti, invece, dice che gli spunti di partenza sono tanti e i più disparati: letture fruite, vicende biografiche personali e familiari, racconti e dialoghi uditi per la strada, elementi che derivano dall'attualità, dalla storia del proprio Paese, dalla possibilità o meno di una contaminazione interculturale. Quando parla della possibilità di contaminazione le interessa in particolare capire quando una lingua sia solo uno strumento per comunicare e quando invece venga usata come uno schermo dietro a cui le persone cercano di nascondersi, e quali siano le possibilità per l'amore in questo scenario.
La tematica dell'amore ci riporta anche al tema principale del romanzo menzionato, in cui vengono narrate due storie, una di inizio e una di fine '900, entrambe coinvolgenti due amanti appartenenti a culture diverse: la prima tra una vedova inglese che lascia l'Inghilterra per recarsi nelle colonie inglesi in Egitto, dove si innamora di un egiziano, la seconda tra una donna divorziata americana e un egiziano-americano. L'autrice ci tiene a sottolineare come in ambedue i casi si tratti di una narrazione a proposito di chi sconvolge le norme, di chi si ritrova a sfidare le convenzioni per provare ad andare al di là e che spesso, come nel romanzo, subisce le conseguenze provocate dal coraggio di aver perseverato nelle proprie scelte.
Prendendo spunto dalla storia d'amore più 'vicina nel tempo' tra le due narrate, Peter Florence parla di un'ambientazione «in un mondo di identità più complesse» di cui l'autrice scrive in 'meta termini' e dalla cui descrizione emerge un mondo arabo, in sintesi, «poco meticcio».
Da qui la conversazione trova presto approdo all'attualità e ai modi diversi in cui gli egiziani all'estero vivono la diaspora che è seguita al periodo di governo di Mubarak: c'è chi ritiene la rivoluzione egiziana sia senza senso e senza speranza e chi, entusiasta, fa le valige per rimpatriare e dare una mano nel processo di democratizzazione. In mezzo troviamo tutte le varie sfumature di chi torna solo periodicamente, chi organizza raccolte fondi e chi ancora manifesta davanti alle ambasciate egiziane all'estero.
Come descrivere la plutocratica negatività del regime di Mubarak? Qual è stato l'incipit della rivoluzione?
L'autrice ci spiega come molti fossero i motivi di malessere e insoddisfazione per i cittadini egiziani durante il regime. Innanzitutto questo era visto come un 'occupante' del Paese, in quanto non interessato a perseguirne lo sviluppo ma solo al suo sfruttamento. Questa contingenza aveva delle conseguenze nefaste sulla vita e le relazioni tra le persone, perché la povertà e il mancato funzionamento delle istituzioni incoraggiavano i cittadini a derubarsi l'un l'altro per riuscire a sfamare le proprie famiglie.
Nel mentre, soprattutto a partire dal 2000-2001 e dopo la messa a punto da parte degli U.S.A. del cosiddetto 'sistema di rendition', la tortura comincia a diventare una prassi comune per la polizia, sia presso le centrali che presso le carceri, l'importante è far sì che non si parli della reale situazione del Paese. Le tecniche affinate per torturare gli sventurati inviati appositamente dall'America, con il placet del capo dei servizi segreti egiziani, vengono così utilizzate anche nei confronti degli stessi cittadini e va da sé che, quando si arriva ad un tale livello di internazionalizzazione e di collusione, sia difficile che la normalità si ripristini in maniera spontanea.
Nei tre-quattro anni prima della rivoluzione molte persone delle fasce più basse vengono prese, anche in sostituzione di parenti o amici non trovati in casa al momento dell'arresto, torturati e talvolta uccisi dalle forze dell'ordine, mentre le famiglie vengono poi contattate per andare a recuperare i corpi.
Qual è stata l'importanza di Khaled Said e di sua madre?
Nell'ambito di questi avvenimenti l'incidente specifico accaduto al giovane alessandrino ha avuto particolare eco per due motivi.
L'omicidio del giovane ucciso dalla polizia in un internet café, innanzitutto è stato commesso 'fuori', ovvero al di fuori di commissariati o carceri o luoghi altrimenti deputati ed inoltre è occorso ad un appartenente della classe media. Questo ha fatto sì che l'opinione pubblica, per il primo motivo, e i genitori del ragazzo, per il secondo, abbiano reagito in maniera totalmente differente rispetto al solito.
Il poster voluto dalla madre, contenente la foto di Khaled da vivo e quella che lo ritraeva morto alla consegna del cadavere ai familiari, non poteva che avere un forte impatto, diventando una delle scintille che avrebbe poi portato agli eventi di piazza Tahrir (in egiziano 'Mīdān al-Taḥrīr', dove Mīdān ha il significato ambivalente di piazza e di 'campo d'azione, campo di battaglia').
Qual è la relazione tra gli egiziani e l'esercito?
L'esercito egiziano, composto sia da militari di professione che da giovani arruolati per la leva obbligatoria, tradizionalmente, ovvero sotto Nasser, era considerato un simbolo di modernità e di patriottismo ed era stato utilizzato per la costruzione di infrastrutture e per aiutare le aziende private a produrre i primi beni di largo consumo (es. veicoli, frigoriferi, etc.), abbordabili dai cittadini.
Durante il regime di Mubarak l'esercito era stato 'schiavizzato' per arricchire l'élite al potere per cui, dopo la rivoluzione, i soldati si posero come i 'naturali' guardiani della transizione verso la democrazia.
Nell'anno seguente però esso si rese responsabile di un lungo elenco di sparizioni e uccisioni, senza contare gli arresti e il rinvio a giudizio per 16000 persone, generando nella gente il desiderio di arrivare il più presto alle elezioni e di essere governata da civili.
Dopo la vittoria dei Fratelli Musulmani, questi ultimi nell'anno di governo tornarono ad una gestione dell'amministrazione pubblica in 'stile Mubarak', usando la milizia del governo per sedare le manifestazioni di protesta nella violenza.
L'esercito è quindi intervenuto di nuovo, questa volta per destituire il presidente Morsi, ma anche rendendosi a sua volta responsabile di massacri poco chiari nei confronti dei sostenitori dei Fratelli Musulmani.
Questo ha portato alla terribile situazione attuale. L'esercito finge ancora di essere il garante di nuove elezioni, e forse lo è, non è ancora dato sapere, ma nel frattempo gli sforzi dei media nazionali sono concentrati per cancellare dalla memoria dei cittadini tutti quegli anni in cui l'esercito stesso ha agito contro la gente.
In più si sta tornando ad uno stato di polizia e l'esercito viene dipinto mano nella mano con la polizia e la gente per far fronte comune contro i Fratelli Musulmani, implicando però l'accettazione del permanere della sospensione della validità dei diritti umani e la garanzia di un'ampia libertà di manovra.
L'unica soluzione che appare possibile al momento è di persistere nelle richieste che erano state avanzate durante la rivoluzione: centralità dei diritti umani, giustizia sociale, interesse a governare per il bene e lo sviluppo del Paese.
Ci sono anche buone notizie?
«Molti di noi sono ancora là e insistono che non si può demonizzare tutta la Fratellanza Musulmana per il comportamento dello staff di Morsi e affinché si crei un sistema di governo i più inclusivo possibile e l'esercito agisca solo per difendere i confini del Paese. Altrimenti la piazza tornerà a manifestare».