06/09/2013

SAPERI DEL MALI E DELL'ETIOPIA IN MOVIMENTO

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Mali e Etiopia sono due tra i più antichi Stati del continente africano. Stati saheliani entrambi, sedi di antiche monarchie e di produzione di saperi, sono ancora oggi due paesi dove povertà e conflitti si affiancano a una forte consapevolezza culturale e a strategie di radicamento del sé che favoriscono adattamenti e dislocazioni spirituali e territoriali. Chi rimane e chi parte continua a negoziare il cambiamento intorno a sé. Ne parlano l'intellettuale maliano Sékou Ogobara Dolo ("La mère des masques"), uno dei portavoce più accreditati della cultura orale dei Dogon, discendente della famiglia che ospitò negli anni Trenta la spedizione etnografica guidata da Marcel Griaule in Africa, e il regista etiopico Dagmawi Yimer, autore di documentari sulla migrazione africana in Italia ("Come un uomo sulla terra", 2008; "C.A.R.A. Italia", 2009; "Soltanto il mare", 2011) co-fondatore dell'Archivio delle Memorie Migranti. Accompagneranno l'evento i disegni di Camara Abdoullaye, migrante del Mali in Italia, allievo della scuola di italiano Asinitas di Roma, che attraverso la bellezza del segno e del colore racconta l'immaginario del suo paese di origine. Moderano il dibattito Giulia Valerio (Metis Africa) e Sandro Triulzi (Archivio delle Memorie Migranti). In collaborazione con AMM, Lettera 27 e Metis Africa.

L'evento "Saperi dell'Africa in movimento" ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma. Originariamente non era prevista la presenza di Dagmawi Yimer e di Camara Abdoullaye.
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Sandro Triulzi 'crea il clima': fa partire musiche africane, offre acqua in una ciotola da cui bevono tutti i relatori rifacendosi al cerimoniale di benvenuto dei dogon, chiede a Sékou Ogobara Dolo di pronunciare le benedizioni del suo dio. Sullo sfondo e davanti al palco dei pannelli con raffigurazioni africane e primitiviste. Il pubblico al primo impatto è stupito, poi capisce che i relatori in realtà si conoscono, alcuni collaborano da anni in stessi progetti umanitari o educativi, altri sono semplicemente amici, uniti dallo stesso amore per il 'continente nero': l'offerta della bacinella non è un'ingenua rievocazione esotica ma un modo sorridente per iniziare l'incontro. Anche Giulia Valerio, psicoterapeuta, all'inizio era scettica riguardo all'idea di intraprendere un viaggio in Africa e un'attività di volontariato. Poi si è recata in Mali invitata da una coppia di amici e ha fondato "Metis Africa" (una Onlus che opera nel paese da più di dieci anni). In Mali ha conosciuto Sékou Dolo, appartenente ad una famiglia che accoglie gli stranieri, la quale ospitò negli anni '30 la prima spedizione etnologica francese in Africa. Dolo continua questo lavoro di accoglienza nel suo paese e gira il mondo per diffondere la cultura dogon. Triulzi è, invece, uno storico che si occupa di 'storia dell'Africa', ha fatto la spola per 30 anni tra l'Italia e l'Etiopia. Colpito dagli etiopi per strada e sotto i ponti, ha pensato che poteva cominciare a occuparsi anche di loro, dal punto di vista umanitario questa volta. Per questo dalla combinazione tra questa nuova attitudine e gli studi precedenti nasce il Museo delle migrazioni a Lampedusa. Differenti personalità sono quelle del regista etiopico Dagmawi Yimer e del giovane illustratore Camara Abdoullaye. Yimer è in Italia da sette anni e, quando il suo italiano era ancora molto incerto, ha trovato nella telecamera un mezzo per esprimersi. In "Come un uomo sulla terra", "Soltanto il mare" e diversi altri documentari rivolti a un pubblico italiano ed europeo, dà la parola agli immigrati stessi perché, secondo il regista, ora è l''altro' a doversi raccontare in prima persona.  Anche Abdoullaye ha trovato il modo per esprimersi in un mezzo diverso dalla parola. Arrivato in Italia dopo un lungo e traumatico viaggio per un anno non ha parlato, poi ha cominciato a disegnare. Per lui parlano la ricchezza cromatica e decorativa dei suoi lavori e questo discorso muto tra tutti è il più forte, il più espressionistico e originale. La formula di Yimer e Abdoullaye è quella vincente, quella che sceglie coraggiosamente di non vittimizzare gli immigrati ma di cercare uno scambio culturale autentico e arricchente per tutte le parti in gioco.

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