07/09/2013 - Lettere da Cuba

Leonardo Padura Fuentes con Carlo Lucarelli

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Leonardo Padura Fuentes con Carlo Lucarelli

A lungo il giallo è stato considerato semplice letteratura di evasione. Invece, nei libri di Leonardo Padura Fuentes, il giallo spesso diventa un'occasione per illuminare i coni d'ombra dell'ufficialità e raccontare così la realtà politico-sociale del suo paese. Questo ha contribuito a fare di lui l'autore cubano più noto sia all'estero che in patria, dove al grande favore del pubblico si è aggiunto di recente il tardivo, ma importante, riconoscimento ufficiale del Premio Nacional de Literatura 2012. A intervistare Leonardo Padura Fuentes è lo scrittore Carlo Lucarelli.
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Ad intervistare Leonardo Padura Fuentes il collega Carlo Lucarelli, che apre l'incontro parlando proprio dell'innovazione che lo scrittore cubano ha apportato al genere poliziesco: «un autore che parla di realtà non codificate, contraddittorie, che fa del giallo non una letteratura d'evasione, ma di estroversione sociale». I suoi romanzi, infatti, nascono nei primi anni Novanta dall'esigenza di scrivere opere che abbiano due specifiche caratteristiche: «essere molto cubani e non assomigliare affatto alle altre opere poliziesche di Cuba» a partire dalla costruzione del personaggio principale. Così nasce Mario Conde, che per verosimigilianza deve essere un poliziotto («in quegli anni a Cuba nessun altro avrebbe potuto condurre delle indagini»), ma allo stesso tempo deve avere l'intelligenza, la sensibilità e l'onestà necessaria per cogliere e riflettere la complessa realtà cubana. La volontà letteraria di Padura Fuentes, infatti, è quella di mostrare il lato oscuro, difficile e contraddittorio di Cuba, e non si tratta solo di un volere, ma anche di un dovere di cittadino per combattere «il mostro a tre teste (governo, stato, partito)» che detiene il totale dominio sull'informazione. Nonostante abbia recentemente ricevuto la cittadinanza spagnola, ci confessa, non se ne va da Cuba perché è «un cittadino e uno scrittore cubano, e proprio questo ruolo gli conferisce grandi responsabilità». I grandi stravolgimenti vissuti dall'isola caraibica negli ultimi trent'anni non cambiano l'obiettivo della sua letteratura. Gli anni Novanta non sono stati soltanto un decennio di crisi, di scarsità di cibo, elettricità, rum e sigarette («Condizione difficile per un personaggio come Mario Conde: va bene per il cibo e l'elettricità, ma senza rum e sigarette non può lavorare» ride Padura Fuentes), ma anche anni in cui si è iniziato a creare spazi di libertà. È allora che la letteratura di Padura Fuentes si fa sempre più sociale, Mario Conde lascia la polizia e Padura Fuentes si assicura un editore in Spagna: ottimi motivi per smettere di autocensurarsi e fare una cronaca puntuale di Cuba nel modo più universale possibile, perché il grande paradosso di questo paese consiste proprio nell'essere «una realtà isolata, ma cosmopolita, che condivide con l'Occidente ogni genere di problema, pur rimanendo un paese socialista». Con Cuba e con Padura Fuentes evolve anche Mario Conde, il personaggio seriale attraverso cui l'autore riesce a trasmettere il proprio modo di pensare, agire, sentire la vita in un rapporto autore-personaggio talmente intenso da essere quasi automatico, fino ad arrivare ad un romanzo del tutto nuovo, "L'uomo che amava i cani", in cui Padura Fuentes addirittura abbandona Conde e scrive un 'romanzo cubano' sulla morte di Trotskij. Prima non avrebbe mai potuto scrivere per immaturità ma soprattutto per mancanza di informazioni, dovuta alla censura del regime che solo oggi inizia a cedere, pur persistendo una situazione di incoerenza sociale di accesso all'informazione che inevitabilmente costringe Cuba ad un ritardo rispetto al resto del mondo e dà vita ad uno dei fenomeni più dolorosi degli ultimi anni, che avvicina anche l'Italia a questo paese oltreoceano: la 'fuga di cervelli'. Ma non dobbiamo scoraggiarci, ci rassicura Padura Fuentes, ci sono ancora due o tre cose in cui possiamo credere fermamente: «che il baseball sia meglio del football, che il genere umano sia per lo più fedele e solidale e che al mondo ci siano molte più persone buone che cattive».

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