08/09/2013

DIMMI COME MANGI E TI DIRÒ CHI SEI!

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La cucina è la carta d'identità di ogni cultura, e di ogni tempo. Attraverso il cibo passano sentimenti, contaminazioni e contraddizioni: la grammatica alimentare è la fotografia di una comunità. Con nuovi e vecchi miti, nuovi e vecchi riti. Una dimensione sociale e individuale, sempre più divisa tra piacere e dovere, estetica e dietetica, gusto e disgusto. 'Assaggiamo' la nostra contemporaneità con gli antropologi Marino Niola, autore del saggio "Non tutto fa brodo", ed Elisabetta Moro, esperta di tradizioni alimentari del Mediterraneo, intervistati da Federico Taddia.
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Italiano
«Noi italiani parliamo sempre: sempre parliamo di cibo».
Con queste parole Elisabetta Moro ben descrive uno dei nostri tratti e caratteri distintivi. In qualsiasi contesto il «cibo diventa il protagonista», l'oggetto e il soggetto delle nostre conversazioni.
Ed esattamente così è avvenuto durante l'incontro nel Cortile dell'Archivio di Stato con Elisabetta Moro - una delle massime esperte della Dieta Mediterranea - e Marino Niola - antropologo e grande conoscitore della cultura legata al cibo, e moderato da un brillante e piacevole Federico Taddia.
L'evento, densissimo e ricco di contenuti, è scivolato velocemente catturando l'interesse e la curiosità degli spettatori mossi dai molteplici spunti e riflessioni proposte dai relatori.
L'aspetto forse più sorprendente nasce di fronte al constatare che tutti noi siamo italiani e che quindi certe categorie e pensieri legati al cibo ci appartengono e fanno parte della nostra cultura molto più di quanto si è abituati a pensare (o a non pensare!). Ed è proprio così: tutta la nostra Italia è un Paese Mediterraneo, non solo ed esclusivamente il Mezzogiorno, ma anche, a pensarci con attenzione, il 'nord mantovano' che, ad esempio, propone 'maccheroni al torchio con stracotto d'asino'. È mediterraneo nel momento in cui nella sua cucina sono presenti alimenti che legano l'uomo alla sua terra. Ecco, dieta mediterranea è anche questo: il legame, stretto, intimo e specifico con il proprio territorio.
Ovviamente la nostra dieta è molto altro. Parlare di 'nostra' è già un ossimoro, infatti non fu un italiano a scoprirne i pregi, a decodificarla e a divulgarla nel mondo, bensì (e qui sembra proprio uno strano scherzo del destino!) un fisiologo statunitense che negli anni Cinquanta intuì e poi studiò gli effetti delle abitudini alimentari dell'operaio medio di Napoli. Ancel Keys, partendo dalla constatazione che nel suo Paese il 51% degli americani moriva per infarto senza tuttavia capirne le ragioni profonde, iniziò ad indagare tale fenomeno, fino a giungere nel 'sud d'Italia', un sud povero, che 'mangia poco', ma che mangia certi alimenti particolari. Da qui all'esportazione del modello alimentare mediterraneo il passo è stato breve (addirittura ricrea - attraverso la famosa 'seconda razione k' con la sua pasta e fagioli - il pasto per i paracadutisti dell'esercito statunitense), ed il primo a sperimentare sul suo stesso corpo tale dieta - vivendo in modo equilibrato fino a 101 anni - fu proprio Keys, il cui mantra (citando Ippocrate) era «Fai che il tuo cibo sia la tua medicina».
Ma se al ricercatore statunitense va il merito d'aver esportato in tutto il mondo questa dieta - la Dieta - il dibattito sulla reale e antica paternità di tale 'cultura' è ancora aperto. Il 17 novembre 2010 la dieta mediterranea entra a far parte del 'Patrimonio culturale dell'Umanità dell'UNESCO'. Certamente questo riconoscimento costituisce un grande traguardo, eppure ancora tanto è e sarà da fare. Insieme all'Italia (nello specifico il Cilento grazie alla sua alta aspettativa di vita e longevità) ottengono questo riconoscimento anche il Marocco, la Grecia e la Spagna, proprio quei paesi (ad eccezione del Marocco) accomunati da una profondissima tradizione culturale. Queste nazioni poggiano la loro cultura e identità ai grandi 'pilastri della mitologia classica', alle divinità Demetra, Dioniso e Atena che simboleggiano i tre fondamenti dell'alimentazione mediterranea: rispettivamente il grano, l'uva/vino e l'olio. E sono proprio questi gli elementi base di tutta la dieta mediterranea, quei cibi sempre presenti e che hanno da sempre legato a sé l'uomo, proprio perché per il mondo greco il termine 'dieta' è strettamente associato al concetto di stile di vita, ad un ordine e ad un modo di pensare il nostro corpo nella natura. Oltre al cibo e agli alimenti, un altro aspetto fondamentale caratterizza la nostra dieta in tutto il mondo: ossia la capacità di creare relazione e interazione. Quando mangiamo ci fermiamo, sediamo a tavola e iniziamo a relazionarci con l'altro, la nostra socialità passa (da sempre è stato così) attraverso il cibo. Come afferma Elisabetta Moro: nel cibo risiede «il nostro codice culturale e l'alimentazione diviene network».
Grano - pane, Uva - vino e Olive - olio erano i cibi mitici del nostro patrimonio culturale classico (e quindi occidentale), e «oggi l'uomo moderno ha miti legati al cibo e all'alimentazione»? Marino Niola con sicurezza afferma che attorno al cibo ruota un profondissimo e assai complesso sistema di miti, concezioni e pensieri più o meno radicati nell'uomo moderno. Sono miti determinate diete come quella 'vegana o vegetariana', o l'atto del 'digiuno', come il modello di una certa magrezza che addita ferocemente un'altrettanta obesità. 'Se non sei vegetariano, se per almeno cinque minuti durante la tua giornata non diventi vegano, non sei nessuno': sembrano essere questi gli slogan dei moderni obiettori di coscienza contro il consumo di carne. Eppure tali diete contengono in sè 'complesse tradizioni', appartengono al patrimonio culturale di 'popoli antichi'. Ad esempio il padre dei vegetariani potrebbe essere il grande Pitagora il quale scelse di non mangiare carne per andare contro al sistema e al potere della polis. Ma anche la stessa pratica del digiuno non è una scoperta moderna, ma appartiene a popoli lontani nel tempo come i Celti, gli Irlandesi o i popoli dell'Asia Minore che si combattevano 'a colpi di digiuno'. L'esempio di Pitagora come quello dei diversi popoli che scelsero di digiunare affermano che «il cibo e la dieta possono essere usati per esprimere idee e concetti che a parole risulterebbero difficilmente esprimibili», o per utilizzare un'immagine di Niola: «il cibo è un linguaggio contenitore, dice ciò che altri linguaggi non dicono».
Ecco quindi che l'atto del mangiare non è solo connesso alla nutrizione, bensì sembra dire che l'uomo viva per mangiare e nel contempo mangi per vivere!. Ed è davvero significativa l'equivalenza che propone Marino Niola «l'Homo sapiens è Homo edens»: tutta la storia umana (a partire dai tre miti del grano, del vino e dell'olio) è legata all'alimentazione attraverso la scoperta del fuoco - quindi alla cottura del cibo, proprio all'evoluzione del cibo che diventa alimentazione e quindi dieta: l'uomo, solo in questo modo (e attraverso il linguaggio) si differenzia dall'animale.
E il 'mito del corpo'? Del peso e della forma? Nella nostra società post moderna i nuovi paria, gli esclusi e gli emarginati sono proprio coloro che abusano del cibo: nel nostro mondo opulento e ricco di troppo gli obesi rivestono il ruolo dei nuovi 're Mida', (una ricerca svedese ha scoperto che nel mercato del lavoro statunitense un obeso, in seguito a discriminazioni, guadagna il 18% in meno rispetto un suo collega non obeso).
Il cibo in ogni tempo, nel passato come nel nostro più attuale presente, rappresenta una formidabile 'carta d'identità' di ogni Paese, di ogni singola società: ne garantisce una precisa radiografia dal punto di vista culturale, sociale, medico, temporale fino a quello economico (il cibo può risultare un'ottima 'forbice sociale'). Se al tempo del boom economico l'imperativo era 'quantità' per uscire dallo stato di 'fame atavica' e povertà diffusa (l'immagine di Sordi davanti ad un piatto di bucatini ha fatto storia!), oggi l'eccellenza della società passa attraverso dosi limitate (scarse) e sull'idea di qualità. Ma il cibo è anche un ottimo indicatore dei tempi e del tempo, determina scansioni temporali, ritualità e momenti precisi e determinati. I concetti di 'brunch' e di 'happy hour' stanno riformando e modificando le ore dell'alimentazione. Così come ci si può chiedere a che ora ci si debba presentare ad un brunch, allo stesso modo potremmo tutti quanti andare a venerare il dio dello spritz e del tramezzino a basso prezzo nell'ora del vespro globale - l'ora dell'happy hour!
Oggi, nella società fluida e sciolta il ruolo di 'alimento mitico' è rivestito dal 'lievito', da quell'elemento che sfiora le antiche leggende e che con prepotenza si sta sempre più affacciando sulle nostre case con la moda del 'pane home-made'. Il lievito, che come straniero entra nella pasta del pane, alterandola ma facendola crescere e aumentare di volume, rappresenta perfettamente da un lato l'idea dell'incontro con il diverso che spaventa, ma dall'altro il profondo e disperato bisogno di contatto e relazione umana. Il lievito quindi fotografa in pieno la 'nostra contraddizione di uomini isolati - immunizzati - spaventati, ma alla disperata ricerca di una relazione umana'.
Da bravi e perfetti italiani il cibo che più amiamo, il mondo ama, cerca e imita è lo spaghetto al pomodoro! Gli 'spaghetti al pomodoro ci rappresentano nel mondo' insieme ad una miriade di cibi che da locali si sono fatti globali (fenomeno della 'glocalizzazione' sviluppatosi anche grazie alla sapiente opera di slow food), ma la cosa ben più importante al di là dello spaghetto, del formaggio grana padano, del salame mantovano è che nel mondo è ricercata e confermata in primis la nostra tradizione e la cultura della nostra 'identità mediterranea'.

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