08/09/2013

PAURA DELLA FINE O FINE DELLA PAURA? Apocalittica, politica e 'mistero dell'iniquità'

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'Non lasciatevi così presto sconvolgere la mente, né turbare (...) come se il giorno del Signore fosse già presente'. La seconda lettera ai Tessalonicesi spiega bene cosa sia la paura della fine. In poche righe, questo testo arduo scandisce il calendario degli ultimi tempi. Che i credenti non si lascino prendere da un'angoscia vana. Il giorno non è ancora venuto, poiché prima dovranno giungere 'l'apostasia e l'uomo privo di legge', e 'ciò che trattiene' dovrà esaurire la propria azione. Massimo Cacciari, che ai Tessalonicesi ha dedicato "Il potere che frena" e Giulio Busi, che ha studiato a lungo l'immaginario ebraico, discutono del rapporto tra politica, fede e paura, di quel disagio sottile che pervade la polis consapevole che 'il mistero dell'iniquità è già in atto'.
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Italiano
Il confronto tra Giulio Busi e Massimo Cacciari è avvenuto intorno alla figura del 'katechon' presente nella seconda lettera di San Paolo ai Tessalonicesi. Un po' esegesi testuale, un po' approfondimento filosofico. E sullo sfondo, la paura e il tema apocalittico. Giulio Busi, esperto dell'ebraismo, parte proprio dall'apocalittica nella cultura ebraica. Paolo è ebreo, scrive nel mondo ebraico ed è naturale che usi simbologia propria di quel mondo. L'apocalisse è sempre stata considerata un punto di svolta, un momento della storia (o della sua fine) oltre la quale ci sarà finalmente la liberazione del popolo ebraico. La condizione di disagio, di sofferenza per essere dominati da un potere oppressivo, avrà come sbocco una vera e propria autonomia politica. Il testo di Paolo assume quindi una valenza prettamente politica, diventa un programma di azione: il messia libera il popolo nel vero senso della parola e dona la libertà politica. Il simbolismo ci dice cosa dobbiamo fare perché Gesù ritorni. Rimane quindi un forte parallelismo tra il ritorno di Cristo e l'arrivo della libertà per gli Ebrei. Cacciari apre il suo discorso spostando l'attenzione di questa lettura sul mondo cristiano. Esiste una paura che ti fa scappare e una che ti dà la spinta per affrontare il pericolo, che ti indica la strada. Una sorta di paura/speranza che viene sollecitata da Paolo ricordando l'apocalisse. Quindi, perché il messia non torna? C'è qualcosa che frena, che trattiene. Gli anticristi sono in azione, attivi, energici, anche se non riescono ad esprimere tutta la loro forza. Questo katechon ne frena la forza, contrasta l'avvento dell'anticristo 'supremo' che si sostituirà alla legge della parola. E nello stesso tempo, frenando l'arrivo del conflitto finale, ritarda il ritorno di Cristo. Ecco quindi che il pensiero di Carl Schmitt sfuma e le interpretazioni si fondono con tutta la tradizione giudaico-cristiana. Il freno potrebbe essere il fatto che il fedele non è ancora pronto, oppure che gli Ebrei non sono tutti convertiti (aspettavano un liberatore e questo è stato crocifisso). Arrivando al Medioevo e alla nascita della teologia politica, questa ambivalenza si è spostata su un vero potere rappresentato dall'Impero e dalla Chiesa, entrambi impegnati in questa conversione del mondo. Lavorano insieme per la pienezza della conversione. Quindi interpretazione spirituale e nello stesso tempo politica del katechon. Ma gli intrecci e le spiegazioni possono andare al di là, come in tutte le lezioni di filosofia. Come Festivaletteratura ci insegna da sempre. Andiamo ad assistere ad un evento e ne usciamo illuminati, ma con più domande di quando siamo arrivati. Un esercizio per mettere in moto la mente e cercare di comprendere processi mentali che pratichiamo per capire il mondo.

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