04/09/2014
TANTESTORIE
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Nel mondo del graphic novel italiano, ma anche internazionale, pochi autori hanno il dono del racconto e il talento pittorico di Gipi. Prima di lui, soltanto due italiani erano stati premiati al prestigioso Festival d'Angoulême: Hugo Pratt e Vittorio Giardino. Pur spaziando tra stili e tecniche diversi (dall'olio di Esterno notte, ai disegni in bianco e nero de La mia vita disegnata male, agli acquerelli di Appunti per una storia di guerra e del recente e acclamato Unastoria), la voce di Gipi emerge sempre forte e particolarissima. Una rara forza narrativa, poetica e visuale che ha saputo sfruttare anche nelle sue felici incursioni come regista cinematografico (L'ultimo terrestre e Smettere di fumare fumando). Lo incontra Matteo Stefanelli, studioso di media e fumetti.
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«Se il 90% della produzione filmica fosse demenziale, 'cinematografico' sarebbe dispregiativo e diminutivo quanto ora lo è l'aggettivo 'fumettistico'. Il fumetto è sempre stata una forma minore, spesso sminuita. Secondo me il fumetto o la graphic novel, come adesso tutti vogliono chiamarla, non ha bisogno di diventare poesia, non ha bisogno di diventare letteratura o altro. Il fumetto è un mezzo comunicativo potente e autonomo se utilizzato in modo intelligente e maturo». Questa la sintesi del pensiero di Gipi, ospite quest'anno di Festivaletteratura, tornato in grande stile nel mondo del fumetto con "Unastoria", pubblicato nel 2013, dopo cinque anni di assenza dalla scrittura. «Per cinque anni non sono riuscito a lavorare con i fumetti. E per me è stato molto strano perché ero convinto che fosse la mia vita e, invece, di botto, sembrava tutto finito, non avevo idee». «All'inizio raccontavo per il piacere di raccontare, disegnavo per il piacere di disegnare - racconta l'autore - poi il successo mi ha dato alla testa. Ero un disegnatore normale, poi sono finito in tv e il giorno dopo vendevo cento volte quello che vendevo il giorno prima. Quando entri in quel circolo vizioso, hai trentamila lettori, poi ne vuoi cinquantamila, e poi sempre di più. Non riuscivo a gestire la mia vanità. Poi il mio piccolo momento di successo è svanito ed ecco che è arrivato il blocco». Fin quando un giorno si è seduto alla sua scrivania e la mano ha cominciato a disegnare automaticamente. Un distributore di benzina, in bianco e nero. E la didascalia: dammi risposte complesse. A questa hanno seguito una ventina di tavole, piuttosto ermetiche, che anche l'autore ha difficoltà a spiegare. Non disegni per l'applauso, ma pagine per l'amore del disegno. Ricorre un albero spoglio, senza foglie, un uomo che non ha motivo di essere triste, ma non sa stare al mondo, una natura magnifica e crudele. Tutte allegorie che in realtà scavano nell'animo dell'autore, esprimono i suoi problemi esistenziali. «Piano piano ho riscoperto la meraviglia del fumetto: posso condensare pagine di dialoghi con un ottimo disegno, con le migliori sfumature di colore di un'espressione del protagonista». Al termine dell'incontro Gipi ha risposto alle domande del pubblico, ed a una ragazza che gli chiedeva quali fossero i grandi passi della sua formazione ha detto «oltre ad aver studiato tanto il disegno classico, come tappa fondamentale della mia formazione, ho smesso di guardarmi dentro. Ho smesso di interrogarmi sui soliti problemi. Ho cominciato a guardare fuori. E allora rimani basito dalla bellezza di ciò che c'è fuori. Dalla grazia che hai intorno. E i problemi che hai dentro non valgono più nulla».