05/09/2014

LAMARQUE LEGGE LAMARQUE E SZYMBORSKA

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«È quasi facile fare una poesia / basta prendere un pezzetto / di carta e una matita, è come / per la terra fare un filo d'erba / una margherita». La poesia di Vivian Lamarque lascia stupiti per la naturalezza dello stile, per la cantabilità del verso, per l'ironica levità. Occasioni dei suoi componimenti sono piccole epifanie quotidiane, oggetti su cui inciampiamo con lo sguardo, gioie o dolori inattesi che Lamarque riporta nelle sue rime con incanto infantile. Questo motiva il suo tributo a Wisława Szymborska, la cui poesia è caratterizzata da un'ingannevole semplicità. La incontra al Festival Vanna Mignoli.
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Vivian Lamarque non ha bisogno di presentazioni, ma Vanna Mignoli ci tiene a ricordare la dirompente novità della prima raccolta della poetessa, "Teresino", che nel 1981 vinse il premio Viareggio creando non poco scompiglio nel panorama culturale nazionale, impreparato a tanta esibita semplicità. I precedenti non mancavano: già Saba vantava di amare le rime semplici, come «fiore e amore/la più antica, difficile del mondo», e le riscattava senza vergogna dall'oblio in cui erano finite dopo secoli di preziosismi poetici. E anni dopo Caproni proseguì su questo tracciato con le sue «rime chiare,/ usuali: in -are». Ma le sonorità e le ripetizioni della Lamarque erano ancora più estreme nella loro assoluta pianezza e ariosità. Tanto più che questa facilità del dettato si scontrava ossimoricamente con la drammaticità della storia privata descritta, una dolorosa vicenda familiare fatta di abbandoni e solitudine.  Per raccontare l'abbandono dei genitori e poi dell'amato, credeva tuttavia Vivian Lamarque, era necessario un linguaggio disarmato e semplice. Anche il dettato, per essere 'onesto', doveva essere totalmente penetrabile e avere come punto di riferimento le fiabe per bambini, con i loro plot codificati, il loro linguaggio infantile e i loro superlativi stupiti. Per reagire al dolore dell'abbandono, infatti, sarebbe stato ipocrita costruire complicati castelli di parole che lo coprissero, al contrario bisognava smontare umilmente e con coraggio le impalcature della retorica, autoconsolatoria ma disonesta. Solo in questo modo, con questa coraggiosa rivendicazione di fragilità e continuando negli anni a parlare con i piccoli oggetti domestici per reagire ai dolori provocati dalle relazioni con le persone, la poesia della Lamarque ha potuto fiorire. Questa poesia delle piccole cose e dei sentimenti privati non si sottrae a grandi temi universali come quelli della malattia e della morte, anzi è proprio il tono fiabesco a creare una situazione d'angoscia ancora più forte, facendo intravedere fin da subito l'esito necessariamente disperato di un percorso costellato di piccole soddisfazioni. La stessa ispirata capacità di estrarre dal dettaglio riflessioni di ampio respiro universale abita le poesie di Wisława Szymborska, poetessa a cui la Lamarque deve molto. I parallelismi tra le due sono sia stilistici sia tematici: il gatto, la malattia, l'abbandono, la gelosia sono solo alcuni dei fili rossi comuni, evidenziati dalla stessa Lamarque, che attraversano la produzione poetica delle due donne. Entrambe fanno dello stile piano e nudo la propria forza, riuscendo con esso a raggiungere picchi di godibilissima ironia e a guardare il mondo con un occhio infantilmente ammirato, come se esso rinascesse ogni attimo nuovo, donando allo sguardo attento e puro continui motivi di stupore.

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