05/09/2014

LE PAROLE CHE CAMBIANO IL MONDO

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Una baraccopoli alla periferia dell'Africa in cui i bambini crescono nella povertà, tra le vane speranze di cambiamento degli adulti e la fastidiosa presenza di chi è venuto dall'Occidente ad aiutare; l'America sognata per l'intera infanzia e la puntuale disillusione di ogni migrante. Con il suo romanzo di esordio - Abbiamo bisogno di nuovi nomi - NoViolet Bulawayo ci pone di fronte alle diseguaglianze che restano, alla perenne necessità - per chi vive da straniero - di imporre il proprio nome alle cose per non piegarsi a quello che gli altri hanno deciso per lui. La talentuosa autrice dello Zimbabwe, che con questo libro si è immediatamente imposta all'attenzione della critica anglosassone ottenendo la nomination al Man Booker Prize, dialoga al Festival con la scrittrice Bianca Pitzorno.
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«Abbiamo bisogno di nuovi nomi, perché dobbiamo trovare nuovi modi di immaginare noi stessi e il nostro futuro e di comprenderci, anche al di là di confini e frontiere» sostiene NoViolet Bulawayo nell'incontro con Bianca Pitzorno. "We need new names" è anche il titolo del suo primo romanzo, narrato quasi interamente in prima persona da Darling, ragazzina che incontriamo per la prima volta a dieci-undici anni e di cui, nella prima parte, ambientata in Zimbabwe, seguiamo i giochi, le avventure, le esplorazioni e le esperienze, vissute insieme al suo gruppo di amici fra la baraccopoli Paradise e i sobborghi più abbienti della città. Nella seconda parte del romanzo la scena si sposta in America, dove Darling si è trasferita, ospite della zia, e dove vive la sua adolescenza, cercando di scendere a patti con tutte le contraddizioni insite nell'esperienza migratoria e nella vita come 'stranieri'. Fra le difficoltà incontrate vi è innanzitutto quella linguistica: Darling ha studiato inglese a scuola, ma quando si trasferisce negli Stati Uniti scopre che il suo inglese è ben diverso dalla lingua parlata dagli americani e parlare correttamente richiede attenzione, per negoziare le differenze linguistiche e culturali che si incontrano.
 Nel narrare queste contraddizioni, l'autrice, che come la protagonista del suo romanzo è cresciuta in Zimbabwe e si è trasferita in America a diciotto anni per frequentare l'università, ha in parte attinto alla propria esperienza di migrante: tuttavia il libro non è da considerarsi autobiografico. Lo Zimbabwe di NoViolet era un paese felice, che aveva appena ottenuto l'indipendenza, in cui si viveva bene, assai diverso dal Paese in cui vive Darling: lo Zimbabwe della crisi e delle disuguaglianze, povero e corrotto. 
 La scelta di avere come protagonisti, nella prima parte del libro, dei ragazzini, permette all'autrice di portare all'attenzione del lettore lo Zimbabwe, e in senso più lato l'intera Africa, dimenticato dai mezzi di comunicazione di massa: la vita quotidiana, con tutti i suoi i problemi, l'arrivo degli occidentali delle ONG, convinti di aiutare, ma assai lontani dal dare un contributo realmente utile, le disuguaglianze enormi fra gli abitanti di Paradise e quelli dei quartieri ricchi, che vedono i bambini del sobborgo come individui strani e folcloristici, degni per questo di essere fotografati. La bravura dell'autrice risiede nella capacità di raccontare tutto questo con levità, senza usare un tono accusatorio, lasciando che il lettore sia testimone di quanto succede, ma sia autonomo nel formulare giudizi.

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