05/09/2014

STORIA DI UNA LIBERTÀ

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Libertà è una parola che torna con ostinazione nelle opere e nelle riflessioni di Pierluigi Cappello: è il sentimento fiero di chi resiste e non si arresta, di chi cerca spazio per la speranza. La poesia è un esercizio di libertà, «è una forma di resistenza perché ti insegna a sentire le cose senza appropriartene: illumina le cose da dentro e le libera». Alla libertà Cappello ha dedicato il suo primo libro in prosa, un'autobiografia in cui racconta «la storia di come una libertà, la mia, sia germinata dai luoghi vissuti da bambino e poi abbia preso il volo dal mio incontro con la lettura», esortandoci a trovare un coraggio nuovo, attraverso la cura dei nostri gesti e delle nostre parole. Conversa con l'autore di Questa libertà il poeta Antonio Prete.
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Al Conservatorio Campiani il poeta Pierluigi Cappello arriva salutando il pubblico con la mano. Ascolta le parole del suo intervistatore con la testa appoggiata sul pugno chiuso, come incuriosito, e, a quello che gli dà del tu, Cappello risponde con una deferenza leggera, chiamandolo «professor Antonio Prete».
 Prete è sì professore (per anni ha insegnato Letteratura comparata all'Università di Siena), ma anche traduttore e autore lui stesso di versi poetici, e all'opera di Cappello dedica un'accurata riflessione. Leggendo il poeta friulano si ha la sensazione - dice Prete - di trovarsi di fronte a un vero dialogo tra prosa e poesia: pensando alle ultime due opere pubblicate, il racconto di "Questa libertà" (Milano, 2013) si pone come in un'endiadi nei confronti delle poesie di "Azzurro elementare" (Milano, 2013). Le caratteristiche principali della produzione poetica di Cappello sono la tensione verso l'oltrepassamento (la poesia che diventa il nuovo mondo che raccoglie tutta l'esperienza della vita precedente), una forma particolarissima di compassione (intesa come 'stare con il proprio soffrire') e la relazione forte tra la parola e il vedere (un'iconicità intrinseca alla parola stessa). 
Cappello concorda con questa lettura e aggiunge che spesso si ha della scrittura un'idea diacronica, ma che il poeta si trova al centro di un crocevia di forze: certo, quando vediamo o ascoltiamo «portiamo con noi tutto lo sguardo della lingua familiare che ci ha generato e, se siamo stati fortunati a leggere, tutto lo sguardo di quanti abbiamo letto», ma chi scrive versi porta con sé soprattutto la tensione a contenere una sincronia. È la difficoltà di «tutto quel bianco che c'è intorno» alla pagina di poesia, del silenzio che è il contorno naturale della voce. 
Per Cappello, in particolare, è fondamentale la biografia: l'infanzia ricca di attesa, l'adolescenza delle letture e delle corse, l'incidente in moto a sedici anni, la letteratura che è come «una seconda nascita», e infine quello stare fra due lingue (l'italiano e il friulano) che lui descrive come un «diteggiare sulla medesima tastiera». Quella preziosa tastiera la suona tre volte per il pubblico del Conservatorio, leggendo prima un suo testo in friulano, "Rondò", poi due poesie in italiano, "Ombre" e "Parole povere". L'attenzione del pubblico si fa massima. Dopo le letture, il silenzio, poi gli applausi. Infine, una sola domanda dal pubblico: «Può leggere un'altra poesia?».

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