06/09/2014

CI VUOLE FEGATO

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Due scrittori, la stessa storia. Non è certo raro, ma qui la vicenda narrata è la vita vera dei due autori e soprattutto il percorso che li porta dalla malattia al trapianto di fegato. Lo raccontano entrambi in forma di romanzo: con una comicità a tratti surreale e uno stile incalzante lo scrittore tedesco David Wagner, vincitore con Il corpo della vita del premio per la Letteratura alla Fiera di Lipsia, e con la consueta capacità narrativa - e senza rinunciare all'ironia - Francesco Abate (Chiedo scusa). Indaga sui temi e i toni di questa incredibile coincidenza il conduttore radiofonico Massimo Cirri.


Con il contributo di Goethe-Institut Mailand.

L'evento 142 ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma. Originariamente il suo svolgimento era previsto presso la Basilica Palatina di Santa Barbara.
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Ci vuole fegato per scrivere di un trapianto (di fegato, in questo caso). E poi, o si scrive un trattato pseudo medico-scientifico, o si scrive un libro che tenga il trapianto 'sullo sfondo' per qualcos'altro, un thriller magari ("Debito di sangue" di Michael Connelly). Oppure un libro zeppo di ironia, che sdrammatizzi l'evento ("I reni di Mick Jagger", di Rocco Fortunato). Infine, si può scrivere un libro sui generis, dichiaratamente autobiografico, con una sua ruvida verità esistenziale, testimonianza di un vissuto doloroso fra confessione, lamento e ironia.  È il caso del tedesco David Wagner, che nel suo "Il corpo della vita" (in originale "Leben",' vita', simile a "Leber", 'fegato') racconta appunto la difficile consapevolezza, per un padre trentenne, di scoprire che il proprio fegato non funziona più («Epatite autoimmune», per l'esattezza).  A dialogare con Wagner, chi meglio di Francesco Abate, che con il suo "Chiedo scusa", racconta un episodio simile, ugualmente autobiografico? Anche quello di Abate è un romanzo nato da una storia vera, raccontata a quattro mani con Saverio Mastrofranco (pseudonimo dell'attore Valerio Mastandrea), già presentato in una precedente edizione di Festivaletteratura, con la delicatezza necessaria «a rendere il racconto un po' più accettabile, dato che la realtà aveva superato i limiti della credibilità». A fare da intermediario tra i due autori, Massimo Cirri. Lo psicologo e giornalista (punta di diamante tra i relatori del Festival) a sua volta ha conosciuto la malattia sia come medico ("Colloquio. Tutte le mattine al Centro di salute mentale") sia come paziente. Ecco allora che viene raccontata l'odissea di Wagner. Prima i sintomi di stanchezza, poi il sangue che impazzisce, fino all'emorragia gastrointestinale. Il libro non è scontato, perché trasmette la tragedia della malattia e la gioia della vita. Il tutto nella consapevolezza «della vita che prosegue nella morte di un altro».  E lì, in quella savana di flebo e prelievi, c'è un mondo che pone delle domande: Per chi vale la pena vivere? È giusto sperare che qualcuno muoia, in modo da poter ottenere il suo fegato? Il passaggio tra la vita prima e dopo il trapianto, non può essere narrato con le parole ma è lasciato a due pagine nere e due pagine bianche. Una grigiastra, nell'edizione italiana («Perché qui siamo poveri», spiega Cirri). E, alla fine, significativo che il regalo conclusivo («Lo scambio dei gagliardetti», lo chiama Cirri) di Abate a Wagner sia proprio un dispositivo antirigetto, di quelli che «costano parecchio, che però salvano la vita»).  Numerosi gli interventi al pubblico, che ringraziano gli autori per aver saputo raccontare una storia personale. E non mancano i ringraziamenti per tutti quei medici che vanno oltre il proprio lavoro, salvando, oltre al corpo, anche l'anima. Come quel dottore che ripete una frase di Màrquez ad un Francesco Abate che lotta fra la vita e la morte nel letto di ospedale: «Ogni sera in città a teatro va in scena la vita». La frase viene ripetuta come un mantra mentre il medico tiene la mano di Francesco: «Oggi dico che è stato Màrquez a salvarmi».

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