07/09/2017

IN PROFONDITÀ

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Donatella Di Pietrantonio è un'autrice che indaga il rapporto tra madre e figlia, e lo fa con prospettive e in modi sempre diversi, fino a quelli più anomali, prima con "Mia madre è un fiume" e poi con il suo ultimo romanzo "L'Arminuta", tra i finalisti al Premio Campiello di quest'anno. Sono libri in cui gli affetti, la metamorfosi dei sentimenti e l'identità dell'individuo costituiscono il nucleo fondamentale. Così come l'ambientazione, l'Abruzzo, terra della scrittrice, che fa da protagonista in tutte le sue storie, come luogo aspro e pieno di contraddizioni, che ospita e alleva queste donne. Dei propri libri parla con Michela Murgia ("Chirù").
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Se i confini geografici sono valicabili, ancor più lo sono quelli che convenzionalmente delimitano i generi letterari: gli scrittori di questa edizione si dimostrano tra i più propensi a muoversi liberamente tra canoni, forme e registri espressivi. Affrontare i tabù connaturati al rapporto madre-figlia con sensibilità e senza remore sembra essere un tratto comune tra le scrittrici Michela Murgia e Donatella di Pietrantonio. Un incontro a due voci femminili con l'ultima pubblicazione di Pietrantonio sullo sfondo, "L'Arminuta", per sviscerare questa complessa dinamica con i suoi risvolti più ombrosi e meno esplorati. All'uscita del romanzo "L'Arminuta", letteralmente 'la ritornata' in abruzzese, Murgia aveva celebrato in maniera entusiasta questa opera durante il programma in onda su Rai 3 "Quante storie", ma l'evento di questa edizione del Festival è stato l'occasione per indagare e analizzare i lati più nascosti e profondi. Donatella di Pietrantonio, nella vita medico e scrittrice, trasforma la penna in un bisturi e la sua attitudine chirurgica le permette di entrare in profondità nelle vicende familiari che narra nei suoi romanzi. «Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze. Non sapevo più da chi provenivo. In fondo non lo so neanche adesso». Nel romanzo, il trauma di una ragazza adolescente che si ritrova come un pacco rispedito al mittente, dalla famiglia adottiva a quella biologica sconosciuta, permette di discutere come si è tramandata ed è cambiata la figura materna - dal mito, dalla fiaba fino alla cronaca contemporanea. Le autrici si interrogano su quali siano i parametri che rendono una donna una buona madre, quanto sia forte il peso della società e le aspettative che incombono sul ruolo. Forse la nostra realtà getta un carico eccessivo sulla figura materna, che con la nascita di un figlio finisce per azzerare l'individualità della donna, le sue aspirazioni e bisogni. Al di là del dolore connaturato alla nascita di un figlio e alla responsabilità di crescerlo, resta il fatto che la maternità rappresenta tutt'oggi una forma di potere, per questo le forme di maternità alternativa o surrogata sono un nervo scoperto. Al lettore giudicare come queste pratiche siano sovrapponibili alle adozioni, di più lungo corso nella storia umana. Nel libro la cessione dell'ultima nata di una famiglia numerosa e povera ad una famiglia abbiente, che invece non riesce ad avere figli, dimostra come la questione sia aperta da sempre - per quanto queste fossero scelte comuni almeno quanto silenziose. Il ritorno, da una condizione agiata ad una più bassa, genera sgomento e la sensazione di non sapere a quale mondo ormai si appartenga. E' una morte e rinascita pagata a caro prezzo: per sapere «chi siamo» prima di tutto dobbiamo anche sapere «a chi apparteniamo».

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