PERCORSO TEMATICO 17.04.20

Tre volte Arbasino

a cura di redazione archivio
Colto, irriverente, avanguardista; un illuminista pieno di verve, eleganza e inventiva nelle sembianze di un distinto signore di Voghera, eccelso in ogni forma e mezzo di narrazione, dal saggio al romanzo, dal teatro alla televisione. Alberto Arbasino (1930-2020) è stato tutto questo, e molto di più. Non potevamo non dedicare un piccolo speciale ai suoi interventi a Festivaletteratura!

Un piccolo segno di rispetto

L’autore di Super-Eliogabalo, La bella di Lodi, Fratelli d’Italia e altri splendidi Grand Tour letterari incontra per la prima volta il pubblico del Festival accompagnato da Bruno Gambarotta. Dal nostro archivio rispunta solo qualche foto dell’evento, da quello di Repubblica un articolo firmato dallo scrittore l’11 settembre del 1999, una piccola “pietra miliare”. Reduce dall’esperienza mantovana, Arbasino dice infatti la sua sugli eventi letterari a pagamento, una formula oggi largamente accettata ma all’epoca assai discussa e, per certi versi, rivoluzionaria, su cui la macchina organizzativa del Festival aveva molto scommesso. «Un biglietto d’ingresso ovviamente minimo (come a Mantova) – scrive Arbasino, estendendo il ragionamento a tutto il sistema della promozione culturale in Italia – sarebbe solo un piccolo segno di rispetto: per parificare quelle povere serve o cenerentole dei libri almeno ai peggiori film e spettacoli e interventi dei dilettantismi e parassitismi sovvenzionati. E anche per evitare una costante smorfiosa in ogni manifestazione gratuita: il va-e-vieni per “dare un’occhiata” e “vedere chi c’è”. Come alle recite per le scuole. (Dove si è pagato il biglietto, non si usa)». Può sembrare scontato, ma allora il suo favore a un elemento talmente specifico della “formula Festival” fu qualcosa di raro e prezioso, quasi la conferma che stessimo andando nella direzione giusta.

Lodare le cose perché esistono

Nove anni dopo, a Palazzo San Sebastiano, l’intervista di Alessandro Zaccuri parte dalla storica stagione di Match, il programma televisivo condotto da Arbasino per la Rai negli anni Settanta. Il format era molto semplice (ancora oggi potete godervi tutte le puntate su Rai Play): quaranta minuti introdotti da una bellissima sigla, con due personalità di un’arte o di una disciplina che si confrontavano vivacemente in presenza di testimoni. Zaccuri ricorda nitidamente «il magnifico litigio tra Paola Borboni e Manuela Kustermann, la grande signora del teatro di tradizione e la giovane piratessa del teatro d’avanguardia»; Arbasino «lo scontro abbastanza cattivo tra Mario Monicelli e Nanni Moretti, con interventi di Luigi Zampa che provava a calmarli». La televisione e il cinema si dimostrano ottimi “la” per accordarsi ai motivi dell’opera arbasiniana, agli interessi e ai linguaggi che la pervadono, e infatti il discorso si allarga presto all’adattamento cinematografico de La bella di Lodi, diretto da Mario Missiroli e interpretato da Stefania Sandrelli, al ricordo di Gadda, alla “mappatura” della provincia italiana, all’amore per la musica.

 

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Ritratti italiani

La voce è più tremante, ma sempre riconoscibile. È la voce un po’ invecchiata del giornalista di costume, dell’acuto osservatore toccato dalla grazia dello humour. Nel 2014 è uscito da poco Ritratti italiani, un montaggio di note, interviste, articoli scritti da Arbasino in anni differenti, tutti incentrati su personaggi straordinari («buon per loro e buon per me!») che hanno segnato mezzo secolo d’Italia. Marco Belpoliti conduce un dialogo “a braccio” davvero indimenticabile insieme a un archivio vivente della nostra storia culturale, passando dalle automobili di Gianni Agnelli alle imitazioni di Federico Zeri, dagli incontri in centro a Milano con Giangiacomo Feltrinelli al Pasolini crepuscolare che parla delle spire viscide e nere avvinghiate al corpo del Paese, senza dimenticare Moravia («me ne ha fatte di tutti i colori!»), Proust, Calvino («non era affatto “leggero” e non gli sarebbe piaciuta quella formula, perché aveva un tipo di mancanza di sense of humour deciso, duro, profondo, e soprattutto ligure!»). L’indice dei nomi è una «tavola degli affetti» ricca di sorprese, aneddoti, frammenti di vita divertenti, profondi. Non v’è personaggio che non sia “abbastanza piacevole” da essere raccontato: «I noiosi li ho tirati via!». Parola di Alberto Arbasino.

 

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