07/09/2007 - La posta in gioco


IL MONDO NON È PIÙ LO STESSO
. Gli oggetti di contesa nel dibattito contemporaneo e le risposte che se ne possono 'vincere'. Una riflessione in due tempi.


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Primo tempo - Mauro Carbone

Il crollo delle Torri Gemelle ha agito nel profondo. Il vivere insieme la morte di altri - amplificata dalla diffusione planetaria delle immagini della tragedia - può forse aprire un diverso spazio politico, in un'epoca in cui la politica sta perdendo la dimensione del territorio e della convivenza. E quale memoria può contribuire a realizzare questa possibilità? Queste sono solo alcune delle "poste in gioco" che Mauro Carbone, docente di Estetica all'Università Statale di Milano, mette sul tavolo della discussione sull'11 settembre. 


Secondo tempo - Mauro Carbone, Maurizio Ferraris, Lynne Schwartz

Seguendo il piano di gioco definito da Carbone, il confronto si apre coinvolgendo il filosofo Maurizio Ferraris e la scrittrice americana Lynne Schwartz, che nel romanzo "Giochi d'infanzia" fa coincidere il trauma collettivo dell'11 settembre con quello personale della protagonista.
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Che c'entra un centro fitness con Madre Teresa di Calcutta, una bambina di nome Renata con lo scrittore George Orwell, il vignettista Altan con i falling men dell'11 settembre? Sono questi gli argomenti toccati in modo sveglio ed ironico dai filosofi Mauro Carbone e Maurizio Ferraris, e dalla scrittrice americana Lynne Schwartz. Non il solito mediocre brain storming asfissiante e mediatico, ma una mappa ramificata della geografia umana del mondo, che ha come baricentro New York, in quel famoso giorno del 2001. «Per noi americani quel giorno rimane tutt'ora misterioso» afferma la Schwartz, è un problema di linguaggio: gli americani non sanno esprimere i sentimenti perché il loro linguaggio è troppo semplice, uniforme, pulito. E l'intelligenza passa attraverso la lingua, come diceva Orwell. Renata è la protagonista del suo ultimo romanzo "Giochi d'infanzia", che cerca di esprimere il dramma delle Torri Gemelle con la lingua di una bambina, e quindi nuova, fuori dai canoni politici del momento. Si sente sola, isolata, diversa. Interviene così Mauro Carbone. «Things will never be the same», gridava la politica Americana. «Forse sono troppo ottimista ma dopo l'11 settembre penso saranno la stessa gentaglia di prima» cita una vignetta di Altan. La storia è finita, la realtà è finita, la letteratura è finita, gridava il post-modernismo alla fine degli anni ottanta. Quella fine avvenuta con l'11 settembre? La bambina che passeggia a New York si sente estranea, forse è veramente tutto finito con quel fumo laggiù, altezza torre sud. Che dire ad Altan? Interviene ironico Maurizio Ferraris: «Io sono ateo da quando avevo 5 anni, sono 45 anni di misticismo ed eccomi qua... Madre Teresa di Calcutta è stata miscredente per 50 anni, 5 più di me, e l'hanno fatta santa! Non capisco». Alchimie postmoderne, la continuità è messa in discussione. Forse oggi è la fine della fine, quindi è l'inizio, anche se non sappiamo di cosa. Come a quella bambina che passeggia nel fumo di quel grande evento. E come quegli uomini che cadono dalle finestre. I falling men. Sono caduti, per loro è finita. Ma continuano a cadere, nelle immagini e nella memoria di quell'evento, così familiare, così misterioso. «Niente sarà più come prima. Ti stiamo aspettando. Sembrerebbe il solito tormentone post 11 settembre, in realtà, solo una pubblicità non proprio originale di una palestra». Così ha esordito Mauro Carbone, docente di estetica e autore del volume "Essere morti insieme", stamattina al chiostro del Museo Diocesiano per riflettere sul cambiamento del mondo dopo gli avvenimenti dell'11 settembre, insieme al filosofo Maurizio Ferraris e alla scrittrice americana Lynne Schwartz. In una vignetta di Altan una donna si pronunciava troppo ottimista avendo l'impressione che, anche dopo lo sconvolgente evento, saremmo restati comunque la stessa gentaglia di prima. Ma davvero in noi non è cambiato niente? Come custodire la memoria di quel giorno che ci ha cambiati più di quanto siamo disposti ad ammettere? Forse facendone l'occasione per allontanarci dalle ceneri di una tradizione politica ormai consunta, aprendoci a una nuova possibilità di vivere insieme. Questo nostro continuare a parlarne testimonia che ancora non sappiamo bene cosa sia successo, non abbiamo digerito gli accadimenti e non siamo in grado di ricordarli nel giusto modo. Nonostante tutto però, ogni anno seguiamo filmati, approfondimenti, tuttavia continuando a vivere come un tempo, magari andando a fare spese («Go shopping!» era l'invito che il governo americano faceva solo pochi minuti dopo gli attacchi) per incrementare l'economia e sostenere i valori condivisi di un paese ormai in guerra. Abbiamo ricordato le vittime leggendo sui muri di New York i manifesti dei missing, quei fogli che imponevano attenzione e dai quali non si riusciva ad allontanare lo sguardo. Abbiamo ricordato le stesse vittime guardando le scioccanti immagini dei jumpers, uomini e donne che si sono gettati dalle torri per scampare al crollo. Ma l'obbligo di ricordare immagini e eventi imposti spesso ottiene l'effetto contrario. L'11 settembre, per la sua dirompente carica simbolica e perché eccede le cause che lo hanno provocato, deve essere ricordato in modo diverso: è stato un evento storico mondiale in senso rigoroso, perché tutto quello che è accaduto, è avvenuto sotto gli occhi delle persone di tutto il mondo. Questa idea di 'essere morti insieme' può essere l'inizio per poter cambiare la nostra memoria, il nostro futuro, e per cambiare il modo di raccontarlo a noi stessi. Raccontare l'11 settembre in modo approfondito e con un linguaggio appropriato è stata l'ispirazione che ha portato Lynne Schwartz a scrivere "Giochi di infanzia", un romanzo che non voleva esprimere opinioni politiche, ma che intendeva tradurre, con un linguaggio fuori dai clichè della lingua parlata, una riflessione adeguata. Il linguaggio contemporaneo si è deteriorato, si è svuotato e impoverito dei propri pensieri, per questo bisogna cercarne uno nuovo che permetta di descrivere al meglio le sfumature e le gradazioni di ogni emozione, le diverse risposte che ogni individuo produce come reazione a un fatto. "Giochi di infanzia" è un romanzo in cui viene espresso il pensiero della gente di fronte alla tragedia dell'11 settembre. Quindi si può dire che dopo gli attentati del 2001 nulla sarà più come prima? Forse sarà così, o forse no. Forse, come ha detto Maurizio Ferraris, «il mondo non sarà più lo stesso solo perché ci è stato imposto e ripetuto di considerare questa tragedia come la più crudele di tutte, escludendo quelle passate e quelle che avvengono ogni giorno in Iraq, solo perché i media hanno deciso di spettacolarizzarla».

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