06/09/2007 - La posta in gioco
LA POSTA IN GIOCO . Gli oggetti di contesa nel dibattito contemporaneo e le risposte che se ne possono 'vincere'. Una riflessione in due tempi.
2007_09_06_019
Primo tempo - Pier Aldo Rovatti Come si può mettere a frutto la metafora del gioco per un confronto filosofico positivo, che porti i contendenti a non rimanere estranei a ciò di cui discutono, ma - appunto - a mettersi in gioco, divenendo disponibili al cambiamento, e a confrontarsi non per esercizio accademico ma per avere un guadagno culturale dalla discussione, per 'vincere una posta'? Ce lo spiega Pier Aldo Rovatti ("Abitare la distanza"), filosofo e teorico del gioco.
secondo tempo - Pier Aldo Rovatti e Laura Boella Con Laura Boella, Rovatti offre una prova di questo 'gioco' filosofico affrontando il tema delle illusioni sociali e della distanza abitata.
L'evento 019 ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma. Originariamente era prevista la presenza di Giovanni Jervis, sostituito successivamente da Laura Boella.
L'evento 019 ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma. Originariamente era prevista la presenza di Giovanni Jervis, sostituito successivamente da Laura Boella.
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Italiano
Se a parlare di gioco è un grande filosofo come Pier Aldo Rovatti, fondatore della rivista "aut aut" e collaboratore delle pagine culturali de "La Repubblica", in un 'doppio' tutto particolare con Laura Boella, professore straordinario di Filosofia morale dell'università statale di Milano, la cosa si fa seria. Seria come chi, da vero giocatore, affronta il momento 'ricreativo' nel modo più giusto: mettendosi in gioco non spinto dalla volontà di vincere, ma con la consapevolezza di poter perdere. Portandosi dentro, insomma, quel 'deserto tascabile' capace di fare il vuoto attorno e dentro noi delle vecchie e note categorie interpretative e avere così, nel gioco come nella vita, un vero giudizio critico, uno spirito attento scevro da ogni pregiudizio, una reale possibilità di crescita. Perchè se è vero che tutti possono giocare, non tutti, alla fine, sanno davvero farlo: specie i filosofi, più attenti a parlarne che a metterlo in atto. In un incontro sul 'gioco' capace di chiamare in causa Hannah Arendt, Wittgenstein, Husserl, l'idea stessa di individuo e la propria soggettività, il concetto di esilio e 'patria portatile', in una cornice ventosa come quella del Chiostro del Museo Diocesano, viene confermato l'interesse della 'gente comune' per la filosofia. Anche di giovedì mattina. "La posta in gioco" è un soggetto tutto nuovo, la cui natura dovrebbe scaturire dalla riflessione per cui i giochi linguistici, usati fino ad ora per attribuire un ruolo al soggetto stesso non bastano più. Dalla società globalizzata deriva, infatti, la necessità di reinventare il ruolo del soggetto-ente e per farlo è necessario creare un linguaggio di riferimento. "La posta in gioco" è anche il titolo dell'incontro che si è svolto giovedì mattina a Festivaletteratura, evento al quale hanno preso parte Pier Aldo Rovatti e Laura Boella e che è servito a riflettere sulla possibilità di questo nuovo soggetto. «Che ne è del soggetto nella contemporaneità globalizzata?»: partendo da questa domanda Rovatti ha ipotizzato che attraverso il rapporto tra il soggetto e il gioco si possa arrivare a scoprire il carattere principale del soggetto stesso: esso non è attivo O passivo, ma attivo e passivo insieme. Ciò significa, in parole poverissime, che mentre il giocatore gioca è a sua volta giocato dal gioco. E non solo perché ogni gioco contiene in sé una variabile aleatoria (che più spesso chiamiamo caso), ma anche perché ogni gioco influisce attivamente sul soggetto che lo sta giocando facendosi, in qualche modo, giocare. Proprio a questo punto della discussione emerge l'urgenza di un'altra definizione, quella di abitare la distanza. Una definizione, questa, che ribalta, in qualche modo, quella di essenza: se, infatti è vero che il soggetto per essere un buon giocatore deve comprendere di essere in parte giocato dal gioco, è anche vero che lo stesso soggetto non possiede e non conosce (nel senso più strettamente filosofico del termine) né il gioco né se stesso mentre gioca. Dunque, abitare non è essere, ma una nuova frontiera del soggetto. Questa strana faccenda ha in qualche modo a che fare da vicino anche con la follia perché riuscire a giocare una partita con la consapevolezza di essere giocati non è diverso dallo stare contemporaneamente dentro e fuori di sé, dal possedere in se stessi uno spazio di assenza che può fare da sala di decompressione. A semplificare un po' il discorso, insinuandovi però altri motivi di riflessione, è stata Laura Boella che, riferendosi in particolare alla filosofia e all'esperienza di Anna Harendt e delle sua condizione di esiliata, ha introdotto la splendida immagine del deserto tascabile. Come l'esiliato porta in sé una patria tascabile, che per la Harendt è il suo travagliato amore, così dovremmo imparare ad avere sempre con noi un pezzetto di deserto che ci permetta di prendere le distanze da noi stessi.