09/09/2007 - Blurandevù
BLURANDEVÙ. Appuntamenti in blu: gli autori rispondono alle domande dei volontari-conduttori di Festivaletteratura
2007_09_09_BLU1415
Quando era piccolo, suo padre gli parlava in rima, e da lì ha iniziato ad acquisire familiarità con le filastrocche e i doppi sensi. A sedici anni ha rinunciato a farsi comprare il motorino in cambio di una tastiera Yamaha ultimo modello. Prima partecipazione a Sanremo: 1995, con "L'uomo col megafono", ultimo posto. Partecipa a Sanremo 2007 con "La paranza". Daniele Silvestri sale sul palco di "Blurandevù".
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Italiano
Un quarto d'ora prima dell'inizio la tenda in Piazza Virgiliana è già piena di gente: tutti aspettano l'arrivo del 'latitante' Daniele Silvestri, che però non si fa attendere.
Ai ragazzi di "Blurandevù" si confessa come un nomade inespresso, una persona normale che però si sfoga, gioca e riordina i pensieri in un particolare modo: la rima.
L'incontro è proseguito spensieratamente grazie a domande serie ma informali, gag e intervalli recitati e cantati tratti del suo repertorio.
Immancabile comunque la richiesta di chiarimenti e precisazioni su "La Paranza", tormentone sanremese cantato da tutti ma capito da pochi.
Sale sul palco senza musica né musicisti, Daniele Silvestri. In jeans e camicia, stavolta si siede tra i ragazzi di "Blurandevù" e si lascia interrogare. Si svolge così, come un'intervista collettiva, questo incontro insolito con una delle voci più originali della canzone d'autore italiana.
L'introduzione è un video, una specie di indagine tra i personaggi della Mantova del Festival per chiedere cosa sia 'la paranza'. Senza risposte, si rivolgono a lui, l'unico che può veramente rispondere. Si alza da una sedia in prima fila e sale sul palco. Senza musica.
Ha ancora un po' l'aspetto da ragazzo e subito diventa per tutti semplicemente Daniele. Però ha la voce da uomo mentre parla di cose piccole, normali, o importanti. Parla del padre che gli insegnava «a ordinare i pensieri nella rima», poi accenna al figlio piccolo che lo aspetta a casa. Sono queste le cose che dice Daniele Silvestri. Cose personali che raccontano una semplicità.
Si parla allora di "La paranza", una canzone leggera. «A volte il significato delle mie canzoni è proprio quello di liberarsi da ogni significato», dice Daniele con una voce calda e ritmata che si differenzia dalle altre, quelle emozionate e veloci del pubblico. Lui parla lentamente, è il modo romano della vita. Racconta persino che a volte nel traffico fisso della sua città prendeva la chitarra tra le mani, l'appoggiava tra volante e finestrino e viaggiava con le sue canzoni. Bisogna immaginarselo così, sul lungotevere.
I ragazzi gli chiedono «chi sei», domanda di quell'età senza forma che è la loro adolescenza. Ma anche Daniele, adulto, non ha una risposta precisa, «sono un uomo. Fortunato», dice. Perché fa quello che più ama, che più vuole. E alla domanda su cosa sia per lui la musica, risponde dolcemente che è «il suo linguaggio in più». Ha da dire delle cose al mondo e sul mondo, e lo si avverte facilmente non appena i ragazzi leggono ad alta voce i testi di sue canzoni coraggiose, come "Aria" o "Il mio nemico".
Se ci togli la musichetta scanzonata ne viene fuori un testo serio, profondamente serio. Si scusa, Daniele, di essere «un po' noioso», ma in effetti le sue parole sono impegnate ed impegnative da ricevere, forse educative per il pubblico sia giovane che adulto. Daniele ci invita a denunciare le cose che accadono, a rimanere 'interessati' a quello che succede intorno.
Sembra finito tutto con l'ultima domanda: «partecipi a Sanremo per non-vincere?». Ci ha preso in pieno, la ragazza. Ha visto che Daniele è ancora un uomo timido, che non vuole stare sotto la luce diretta, non vuole partecipare al carnevale della tv. Il suo stile glielo impedirebbe, preferisce i concerti semi-gratis che regala in giro per tutte le regioni d'Italia.
Sembra finita lì, con questa domanda e con la risposta. Invece interviene, inaspettata e desiderata, la prova che la musica è davvero per tutti... Daniele si fa passare la chitarra. Ora è come un amico su una spiaggia serale che intona per tutti le parole e le emozioni. Sistema le mani sulla sua chitarra nera, e scivola con la voce nelle "Strade di Francia", canzone che sogna di un viaggio a Parigi fatto «per non tornare più».
Finisce poi, stavolta per davvero, con un'acrobazia sulle corde, le sue dita e quelle del suo chitarrista che si inseguono per mimare un Flamenco sotto la doccia. Intorno a Daniele tutti battono le mani, dentro la sua musica. Le note giocano con le rime, il ritmo è veloce, sincero. Come Daniele.
Ai ragazzi di "Blurandevù" si confessa come un nomade inespresso, una persona normale che però si sfoga, gioca e riordina i pensieri in un particolare modo: la rima.
L'incontro è proseguito spensieratamente grazie a domande serie ma informali, gag e intervalli recitati e cantati tratti del suo repertorio.
Immancabile comunque la richiesta di chiarimenti e precisazioni su "La Paranza", tormentone sanremese cantato da tutti ma capito da pochi.
Sale sul palco senza musica né musicisti, Daniele Silvestri. In jeans e camicia, stavolta si siede tra i ragazzi di "Blurandevù" e si lascia interrogare. Si svolge così, come un'intervista collettiva, questo incontro insolito con una delle voci più originali della canzone d'autore italiana.
L'introduzione è un video, una specie di indagine tra i personaggi della Mantova del Festival per chiedere cosa sia 'la paranza'. Senza risposte, si rivolgono a lui, l'unico che può veramente rispondere. Si alza da una sedia in prima fila e sale sul palco. Senza musica.
Ha ancora un po' l'aspetto da ragazzo e subito diventa per tutti semplicemente Daniele. Però ha la voce da uomo mentre parla di cose piccole, normali, o importanti. Parla del padre che gli insegnava «a ordinare i pensieri nella rima», poi accenna al figlio piccolo che lo aspetta a casa. Sono queste le cose che dice Daniele Silvestri. Cose personali che raccontano una semplicità.
Si parla allora di "La paranza", una canzone leggera. «A volte il significato delle mie canzoni è proprio quello di liberarsi da ogni significato», dice Daniele con una voce calda e ritmata che si differenzia dalle altre, quelle emozionate e veloci del pubblico. Lui parla lentamente, è il modo romano della vita. Racconta persino che a volte nel traffico fisso della sua città prendeva la chitarra tra le mani, l'appoggiava tra volante e finestrino e viaggiava con le sue canzoni. Bisogna immaginarselo così, sul lungotevere.
I ragazzi gli chiedono «chi sei», domanda di quell'età senza forma che è la loro adolescenza. Ma anche Daniele, adulto, non ha una risposta precisa, «sono un uomo. Fortunato», dice. Perché fa quello che più ama, che più vuole. E alla domanda su cosa sia per lui la musica, risponde dolcemente che è «il suo linguaggio in più». Ha da dire delle cose al mondo e sul mondo, e lo si avverte facilmente non appena i ragazzi leggono ad alta voce i testi di sue canzoni coraggiose, come "Aria" o "Il mio nemico".
Se ci togli la musichetta scanzonata ne viene fuori un testo serio, profondamente serio. Si scusa, Daniele, di essere «un po' noioso», ma in effetti le sue parole sono impegnate ed impegnative da ricevere, forse educative per il pubblico sia giovane che adulto. Daniele ci invita a denunciare le cose che accadono, a rimanere 'interessati' a quello che succede intorno.
Sembra finito tutto con l'ultima domanda: «partecipi a Sanremo per non-vincere?». Ci ha preso in pieno, la ragazza. Ha visto che Daniele è ancora un uomo timido, che non vuole stare sotto la luce diretta, non vuole partecipare al carnevale della tv. Il suo stile glielo impedirebbe, preferisce i concerti semi-gratis che regala in giro per tutte le regioni d'Italia.
Sembra finita lì, con questa domanda e con la risposta. Invece interviene, inaspettata e desiderata, la prova che la musica è davvero per tutti... Daniele si fa passare la chitarra. Ora è come un amico su una spiaggia serale che intona per tutti le parole e le emozioni. Sistema le mani sulla sua chitarra nera, e scivola con la voce nelle "Strade di Francia", canzone che sogna di un viaggio a Parigi fatto «per non tornare più».
Finisce poi, stavolta per davvero, con un'acrobazia sulle corde, le sue dita e quelle del suo chitarrista che si inseguono per mimare un Flamenco sotto la doccia. Intorno a Daniele tutti battono le mani, dentro la sua musica. Le note giocano con le rime, il ritmo è veloce, sincero. Come Daniele.