06/09/2008

Nuruddin Farah con Stefano Salis

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Secondo il New York Times Nuruddin Farah è il più importante romanziere africano degli ultimi venticinque anni oltre che una delle voci più interessanti della narrativa moderna. Nato in Somalia, Farah ha conosciuto l'esilio durante il regime di Siad Barre. Docente in varie università americane ed europee, è stato candidato al Nobel per la letteratura nel 2002. I suoi romanzi ("Doni"; "Legami"; "Nodi" tra gli altri) raccontano del disastro politico della Somalia, del ruolo attivo delle donne nella società africana, del contraddittorio legame con la propria terra. Lo incontra il giornalista Stefano Salis.



L'evento 152 ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma. Originariamente il suo svolgimento era previsto alle ore 16.45.
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Nuruddin Farah, autore della trilogia "Doni", "Legami", "Nodi", ha incontrato i lettori nel cortile della biblioteca Baratta. Nato in Somalia, Farah lasciò il paese dopo l'instaurazione della dittatura di Siad Barre. Autore di lingua inglese - quando ha iniziato a scrivere, nei primi anni 60, la Somalia non possedeva una lingua scritta -, è oggi considerato una della maggiori espressioni della letteratura africana. Ma cosa c'è al centro delle sue trilogie «che mi permettono di studiare un paese, il mondo mentre cambia»? La donna e la sua liberazione in Somalia. Anche se, ha spiegato Farah, è riduttivo limitarsi a mettere in risalto «la ricerca dell'identità» come perno della sua produzione recente. E c'è sicuramente molto di più, nei suoi libri. Giallo, favola, un velato misticismo, analisi psicologica e grandi storie familiari. «Durante la guerra civile ho capito che quando le situazioni sono veramente difficili le donne sono molto più forti degli uomini» - ha spiegato Farah - «gli uomini crollano molto più facilmente perché le donne sono abituate sin da piccole ad affrontare le difficoltà. Questo vale anche per i personaggi di un libro, ed è per questo che preferisco parlare di loro, delle donne, nei miei romanzi».  

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