06/09/2008

MARCARE L'IDENTITÀ, CERCARE LE PROPRIE RADICI


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Jonathan Safran Foer è stato il protagonista di uno dei più clamorosi casi letterari degli ultimi tempi. A soli 25 anni pubblica "Ogni cosa è illuminata", una storia familiare dalla struttura narrativa complessa, stilisticamente brillante e giocata su più registri espressivi. Il successo ottenuto con il libro d'esordio ha creato nei confronti del giovane scrittore americano una grande aspettativa, che è stata confermata dal suo secondo romanzo, "Molto forte, incredibilmente vicino", personalissima interpretazione dello smarrimento americano dopo l'11 settembre. Lo incontra il giornalista Gad Lerner.

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Non è cresciuto da tanto Jonathan Safran Foer quando confessa di non essere stato un bambino tanto appassionato alla lettura e alla scrittura. Svela con queste parole quello che secondo lui è il segreto della sua scrittura sperimentale e rispondendo alle domande di Gad Lerner dichiara di muoversi orizzontalmente nella sua narrazione utilizzando registri diversificati, perché ama intraprendere strade diverse. Ma la via più battuta nell'arco dei suoi 31 anni di età è quella alla ricerca delle sue origini da ebreo-americano: «Andare alla caccia del passato è assolutamente normale, perché io sono separato da esso dato che i miei avi sono tutti morti». E per il giovane scrittore newyorkese la sorpresa non dovrebbe essere tanto quella di andare a caccia del passato quanto quella di scriverlo, ma lui dichiara di farlo per il bisogno di colmare un vuoto. Alla domanda di Gad Lerner sul rischio di cadere nella retorica cercando le proprie radici, Foer risponde di amare gli Stati Uniti, ma di non avere alcun radicamento storico-culturale per l'America: «La mia patria non è tanto geografica, quanto estetica e culturale e le uniche cose che mi fanno sentire a casa sono la mia famiglia e i miei libri».

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