09/09/2009

Luis Sepúlveda con Bruno Arpaia

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«Quando sono nato ero già un fuggitivo». Luis Sepúlveda viene da una famiglia di anarchici e ribelli: la sua erranza per i movimenti di liberazione dell'America Latina tra gli anni '70 e '80 risponde al richiamo del sangue, la vocazione alla scrittura viene da un'educazione letteraria irregolare, ma forte di romanzi d'avventura, di amore per il teatro, di passione politica. Narratore dell'utopia e di un'umanità di frontiera, l'autore di "La lampada di Aladino e altri racconti per vincere l'oblio" torna al Festival per parlare di libri, ricordi e Sudamerica con lo scrittore Bruno Arpaia.

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Piazza Castello è stracolma. Gli spalti gremiti di gente di tutte le età sono ad anfiteatro, quasi a voler accogliere il grande scrittore cileno in un forte abbraccio. Accompagnato dall'amico scrittore Bruno Arpaia, Luis Sepúlveda arriva puntualissimo. Veste di scuro, come spesso accade, i suoi gesti sono lenti e pacati, proprio come il suo modo di parlare. Potrebbe essere chiunque, nella sua normalità. Una normalità con cui racconta di come sia nato il suo ultimo libro "La sombra de lo que fuimos", tradotto in italiano con "L'ombra di quel che eravamo", un romanzo ispirato da una cena avvenuta tre anni fa con amici con cui visse la tragedia della dittatura di Pinochet, personaggi sconfitti che però non hanno perso la loro etica. Il suo racconto si anima di aneddoti che spaziano dall'esperienza della prigione, dell'esilio, ad episodi quotidiani, come la 'sacra' preparazione del più classico piatto cileno del convivio, l'asado o carne sulla brace. Il pubblico si divertite, sorpreso dalla dirompente ironia e dall'apparente leggerezza della sua memoria, ride spesso, come quando egli ricorda, ancora emozionato, di aver incontrato un suo grande mito letterario, l'argentino Julio Cortázar, davandi ad un urinatoio. La conversazione scorre via veloce, come si fosse tra amici, ma senza scostarsi mai dalla passione civica, politica e sociale che anima la sua scrittura e che ha sempre rappresentato la sua vita di uomo «orgogliosamente di sinistra». Inevitablie quindi lo sguardo all'Italia, l'analisi è lucida e profonda. Gli italiani hanno smesso di essere cittadini e sono ora solo spettatori, afferma. Bisogna abbandonare l'apatia, recuperare il coraggio civile e la partecipazione sociale, solo così si potrà ricominciare ad immaginare un futuro possibile. E a chi infine gli chiede come sia stato il ritorno in Cile, il 'desexilio', Lucio (così lo chiama Arpaia) risponde che sì il paese è cambiato, ma ciò che rimane è la sua lingua. Un idioma agglutinante, che non esclude, che si nutre delle sue stesse varianti e lui ne è un amante appassionato, tanto da affermare: «è lo spagnolo la mia patria». Per la generazione di Sepulveda, l'11 settembre non è quello delle torri gemelle ma è quello del 1973, quando il Generale Pinochet prese il potere in Cile con la forza e il Presidente Salvador Allende si uccise dopo aver inutilmente difeso il Palacio de La Moneda. I protagonisti dell'ultimo libro dello scrittore cileno, "L'ombra di quel che eravamo", sono i compagni di quella stagione politica, durante la quale si iniziò prima ad immaginare e poi persino a realizzare una nuova idea di società. E quando si incontrano i vecchi compagni dopo anni di lontananza forzata, si festeggia innanzitutto di essere ancora vivi, di essere sopravvissuti al male. Poi ci si scambiano le foto dei nipoti, si ricordano aneddoti e si raccontano storie con ironia e amore. Soprattutto amore, perché quello che prevale è sempre e comunque l'entusiasmo per quello che si è cercato di realizzare. In un momento come quello attuale, sicuramente povero di ideali forti, è un bene rievocare queste cose, insieme al divertimento che accompagnava la vita di quei giovani entusiasti. Le figure di Sepulveda e dei suoi compagni proiettano davvero una lunga ombra sulla società moderna: un'ombra, però, non minacciosa, ma calda e protettiva nei confronti delle nuove generazioni. L'incontro con il pubblico di Festivaletteratura è proprio questo per l'autore cileno: un'ondata di ricordi per riuscire a comprendere il passato. Solo grazie a questa piena comprensione del passato possiamo capire meglio il presente e costruire un futuro migliore. Anche la lingua e i generi letterari utilizzati nei suoi romanzi sono importanti per una conoscenza piena della vita e delle idee di Sepulveda. La mescolanza di generi letterari infatti rispecchia la mescolanza intrinseca dei latino americani. La lingua spagnola viene definita democratica, giovane, agile e innovativa: lo spagnolo cambia continuamente, è aperto alle diversità e da esse si fa contaminare senza problemi. «Il sudamerica è la diversità, e la sua lingua pure». Sollecitato infine da una domanda del pubblico sulla presenza del trascendente nella propria vita, Sepulveda risponde: «La più alta idea trascendente per me è quella di cercare di vincere le ingiustizie per creare un mondo più giusto». E questo ideale è come l'orizzonte: bisogna incamminarsi per raggiungerlo e per poi realizzare un futuro possibile e migliore.

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