09.09.2010 - LAVAGNE - Problemi scientifici all'aria aperta
ANCHE IL RISCHIO HA UNA SUA LEGGE
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«Ho scelto di parlarvi del rischio stasera perché tale entità è paradigmatica della nostra società». Così Luca Carra ha aperto il suo incontro per Lavagne.
Come ha spiegato, un paio di secoli fa il rischio rientrava ancora nel dominio dell'irrazionale, ma via via siamo arrivati alla sua matematizzazione: abbiamo bisogno di misurarlo nella vana speranza che, ridotto a numero, sia più gestibile. Il sociologo Ulrich Beck ha definito la nostra «la società del rischio»: la tecnologia e la scienza hanno reso oggettivamente meno pericolosa la nostra vita, ma hanno fatto di noi esseri più ossessionati dal rischio!
Una prima formula per il rischio potrebbe essere R = freq * grav * vul, cioè: il rischio è la frequenza di un evento per la sua gravità, per la vulnerabilità del sistema che lo deve assorbire. I primi a stilare tabelle di accettabilità furono gli americani. Una tabella del '69 poneva al primo posto gli incidenti stradali, e solo alla fine gli incidenti legati al nucleare. Le posizioni erano decretate dividendo il numero di incidenti di quel tipo per la popolazione americana complessiva, ma tale classificazione fu subito criticata da scienze nascenti come la sociologia e la psicologia del rischio. Fattori come il livello culturale di una persona hanno un impatto elevatissimo sulla qualità della sua vita: si è calcolato che individui meno istruiti, non riuscendo ad attivare nei confronti della propria fonte comportamenti adeguati, hanno una speranza di vita alla nascita di otto anni inferiore rispetto a chi possiede un grado di istruzione superiore. Inoltre è facilmente intuibile che la percezione del rischio non esiste davvero: il fumo, benché risolutamente pericoloso, in quanto rischio volontario preoccupa molto meno di qualsiasi altro rischio involontario. Una formula più aggiornata è dunque Rp = Hazard + Outrage, cioè il rischio percepito è la somma dell'azzardo misurabile e dell'oltraggio (la percezione dell'ingiustizia).
In conclusione, perché tanta attenzione al rischio? Perché se queste analisi sono affrontate con il giusto approccio, possono risultare davvero utili: il Nobel per l'economia Kahneman ha notato che la percentuale di mortalità in caso di sisma si abbassa notevolmente se la popolazione, consapevole di ciò che rischia, è correttamente educata, perché in caso di bisogno riesce a gestire con più efficacia la situazione. Contro ogni credenza, dunque, formule matematiche e buonsenso si sposano!
Come ha spiegato, un paio di secoli fa il rischio rientrava ancora nel dominio dell'irrazionale, ma via via siamo arrivati alla sua matematizzazione: abbiamo bisogno di misurarlo nella vana speranza che, ridotto a numero, sia più gestibile. Il sociologo Ulrich Beck ha definito la nostra «la società del rischio»: la tecnologia e la scienza hanno reso oggettivamente meno pericolosa la nostra vita, ma hanno fatto di noi esseri più ossessionati dal rischio!
Una prima formula per il rischio potrebbe essere R = freq * grav * vul, cioè: il rischio è la frequenza di un evento per la sua gravità, per la vulnerabilità del sistema che lo deve assorbire. I primi a stilare tabelle di accettabilità furono gli americani. Una tabella del '69 poneva al primo posto gli incidenti stradali, e solo alla fine gli incidenti legati al nucleare. Le posizioni erano decretate dividendo il numero di incidenti di quel tipo per la popolazione americana complessiva, ma tale classificazione fu subito criticata da scienze nascenti come la sociologia e la psicologia del rischio. Fattori come il livello culturale di una persona hanno un impatto elevatissimo sulla qualità della sua vita: si è calcolato che individui meno istruiti, non riuscendo ad attivare nei confronti della propria fonte comportamenti adeguati, hanno una speranza di vita alla nascita di otto anni inferiore rispetto a chi possiede un grado di istruzione superiore. Inoltre è facilmente intuibile che la percezione del rischio non esiste davvero: il fumo, benché risolutamente pericoloso, in quanto rischio volontario preoccupa molto meno di qualsiasi altro rischio involontario. Una formula più aggiornata è dunque Rp = Hazard + Outrage, cioè il rischio percepito è la somma dell'azzardo misurabile e dell'oltraggio (la percezione dell'ingiustizia).
In conclusione, perché tanta attenzione al rischio? Perché se queste analisi sono affrontate con il giusto approccio, possono risultare davvero utili: il Nobel per l'economia Kahneman ha notato che la percentuale di mortalità in caso di sisma si abbassa notevolmente se la popolazione, consapevole di ciò che rischia, è correttamente educata, perché in caso di bisogno riesce a gestire con più efficacia la situazione. Contro ogni credenza, dunque, formule matematiche e buonsenso si sposano!