08/09/2011
LEZIONI DAL SECONDO RISVEGLIO ARABO
2011_09_08_040
C'è uno slogan che unisce le rivolte arabe, dal Marocco allo Yemen. «Al shab yurid isqat al nizam»: il popolo chiede la caduta del regime. Il Secondo Risveglio Arabo ha quindi rimesso al centro della legittimità del potere il popolo, che spesso - dalla Tunisia all'Egitto, dal Bahrein alla Siria - ha anche usato metodi non violenti quando ha tentato di rovesciare i regimi autocratici. Sono lezioni politiche inattese, quelle che arrivano dal mondo arabo. Ed è proprio il lessico delle rivoluzioni che va indagato, per capire quello che sta succedendo e quello che succederà, anche oltre il Medio Oriente e il Nord Africa. Gad Lerner è nato nel Levante, Tahar Lamri nel Maghreb: due intellettuali dalle radici nella regione che in questi mesi ha dimostrato che la Storia non è finita parlano delle rivoluzioni arabe con Paola Caridi, che da dieci anni vive sulle altre rive del Mediterraneo.
English version not available
Italiano
Una riflessione sul lessico delle recenti rivoluzioni mediorientali, a partire dal concetto stesso di 'rivoluzione' e 'Medio Oriente'.
Tahar Lamri e Gad Lerner hanno discusso con Paola Caridi degli stereotipi con cui la retorica occidentale ha raccontato il cosiddetto "Secondo Risveglio Arabo". Perché il crollo dei regimi totalitari ha portato inevitabilmente con sé anche la caduta delle tradizionali etichette sociologiche e antropologiche con cui l'Occidente era solito guardare al mondo arabo. Dal ruolo del popolo come fonte della legittimità del potere, alla necessità di una conoscenza reciproca e condivisa, passando attraverso la funzione della cultura come strumento di consapevolezza e rivoluzione non violenta. Palese sconfitta del movimento panarabista e dell'islamismo politico, le rivolte arabe hanno di fatto mostrato l'enorme potenziale culturale delle nuove tecnologie, con il web che diventa vera agorà politica per la formazione di una nuova comunità. Emerge così il forte dinamismo, il ritrovato orgoglio e l'ansia di libertà di una società giovane, con il 50% della popolazione con un'età inferiore ai 25 anni.
Quali sono le parole che hanno caratterizzato e reso straordinaria la stagione rivoluzionaria del mondo arabo? Paola Caridi introduce in questo modo un seguitissimo evento con Gad Lerner e Tahar Lamri.
Innanzitutto, la parola giusta per descrivere quello che è successo può essere 'rivoluzione'? Il parallelismo più importante che viene in mente è quello con i movimenti risorgimentali europei del 1848, o anche con la parola araba che significa 'rivoluzione': toro che carica infuriato per poi tornare tranquillo rimettendosi in posizione. Forse è davvero tutto in questo significato, le avvisaglie dei moti in Libano con la rivoluzione dei Cedri o il tentativo dei giovani iraniani di far sentire la propria voce. E poi la carica di questi ultimi mesi, diffusasi come una epidemia dalla Tunisia al Bahrein. In qualche mese, l'infelicità esistenziale araba viene superata e si impone l'orgoglio dei giovani in piazza. Giovani che compongono il popolo, altra parola chiave. È il popolo che dà legittimità al governo, al potere, e ha tutto il diritto anche di cambiarlo (come tra l'altro è scritto nella dichiarazione d'indipendenza americana). Sicuramente proprio la cultura di altri paesi, internet, lo scambio di idee e la possibilità di aprire una agorà politica fa emergere una generazione di arabi diversi che parla di diritti, di politica, di principi. Metà dei 350 milioni di arabi ha meno di 25 anni e questo è fondamentale. La divisione storica tra arabi riuniti in tribù, d'un colpo è superata dalla comune condivisione di idee e obiettivi. E le nuove tecnologie hanno avuto appunto la parte principale nella diffusione di questa cultura diffusa e unita nel perseguire gli ideali di libertà. Quando poi si sente dire a Tel Aviv dai giovani israeliani che «piazza Tahir non è solo al Cairo», vuol proprio dire che altri muri sono caduti. Grazie alla conoscenza dei giovani arabi nei confronti del mondo occidentale, delle sue libertà, della sua democrazia. Magari un aspetto positivo della tanto contestata globalizzazione. E la lezione quale può essere, cosa insegna a tutto il mondo il movimento rivoluzionario arabo? I nostri governanti tifavano per i tiranni, che erano in grado di fermare la violenza tribale, poi ebbero paura della caduta delle dittature paventando esodi inesistenti. La verità è che Al quaeda ha perso, l'islamismo ha perso, gli stereotipi sono sconfitti e i giovani arabi non saranno più guardati dall'alto verso il basso. Oggi va tutto più veloce, non sappiamo come andrà a finire, ma cominciano a tremare anche l'Iran e l'Arabia Saudita. La storia va in questa direzione e non si può fermare. Anche attraverso una parola veramente globale: pacificamente.
Tahar Lamri e Gad Lerner hanno discusso con Paola Caridi degli stereotipi con cui la retorica occidentale ha raccontato il cosiddetto "Secondo Risveglio Arabo". Perché il crollo dei regimi totalitari ha portato inevitabilmente con sé anche la caduta delle tradizionali etichette sociologiche e antropologiche con cui l'Occidente era solito guardare al mondo arabo. Dal ruolo del popolo come fonte della legittimità del potere, alla necessità di una conoscenza reciproca e condivisa, passando attraverso la funzione della cultura come strumento di consapevolezza e rivoluzione non violenta. Palese sconfitta del movimento panarabista e dell'islamismo politico, le rivolte arabe hanno di fatto mostrato l'enorme potenziale culturale delle nuove tecnologie, con il web che diventa vera agorà politica per la formazione di una nuova comunità. Emerge così il forte dinamismo, il ritrovato orgoglio e l'ansia di libertà di una società giovane, con il 50% della popolazione con un'età inferiore ai 25 anni.
Quali sono le parole che hanno caratterizzato e reso straordinaria la stagione rivoluzionaria del mondo arabo? Paola Caridi introduce in questo modo un seguitissimo evento con Gad Lerner e Tahar Lamri.
Innanzitutto, la parola giusta per descrivere quello che è successo può essere 'rivoluzione'? Il parallelismo più importante che viene in mente è quello con i movimenti risorgimentali europei del 1848, o anche con la parola araba che significa 'rivoluzione': toro che carica infuriato per poi tornare tranquillo rimettendosi in posizione. Forse è davvero tutto in questo significato, le avvisaglie dei moti in Libano con la rivoluzione dei Cedri o il tentativo dei giovani iraniani di far sentire la propria voce. E poi la carica di questi ultimi mesi, diffusasi come una epidemia dalla Tunisia al Bahrein. In qualche mese, l'infelicità esistenziale araba viene superata e si impone l'orgoglio dei giovani in piazza. Giovani che compongono il popolo, altra parola chiave. È il popolo che dà legittimità al governo, al potere, e ha tutto il diritto anche di cambiarlo (come tra l'altro è scritto nella dichiarazione d'indipendenza americana). Sicuramente proprio la cultura di altri paesi, internet, lo scambio di idee e la possibilità di aprire una agorà politica fa emergere una generazione di arabi diversi che parla di diritti, di politica, di principi. Metà dei 350 milioni di arabi ha meno di 25 anni e questo è fondamentale. La divisione storica tra arabi riuniti in tribù, d'un colpo è superata dalla comune condivisione di idee e obiettivi. E le nuove tecnologie hanno avuto appunto la parte principale nella diffusione di questa cultura diffusa e unita nel perseguire gli ideali di libertà. Quando poi si sente dire a Tel Aviv dai giovani israeliani che «piazza Tahir non è solo al Cairo», vuol proprio dire che altri muri sono caduti. Grazie alla conoscenza dei giovani arabi nei confronti del mondo occidentale, delle sue libertà, della sua democrazia. Magari un aspetto positivo della tanto contestata globalizzazione. E la lezione quale può essere, cosa insegna a tutto il mondo il movimento rivoluzionario arabo? I nostri governanti tifavano per i tiranni, che erano in grado di fermare la violenza tribale, poi ebbero paura della caduta delle dittature paventando esodi inesistenti. La verità è che Al quaeda ha perso, l'islamismo ha perso, gli stereotipi sono sconfitti e i giovani arabi non saranno più guardati dall'alto verso il basso. Oggi va tutto più veloce, non sappiamo come andrà a finire, ma cominciano a tremare anche l'Iran e l'Arabia Saudita. La storia va in questa direzione e non si può fermare. Anche attraverso una parola veramente globale: pacificamente.