06/09/2012 - La parola cui abbiamo creduto
OMAGGIO A EZRA POUND
2012_09_06_054
Ezra Pound è stato uno dei massimi creatori di linguaggio del Novecento, promotore di "Imagismo e Vorticismo", al centro del crogiolo delle avanguardie storiche di Londra e Parigi negli anni intorno alla Prima guerra mondiale, interlocutore privilegiato di Joyce, Eliot, Hemingway. Raccolse le sue poesie ed 'esultazioni' in volumi capitali come "Personae", raffigurò il disagio fecondo dell'artista e uomo contemporaneo nei poemetti "H.S. Mauberley" e "Omaggio a Sesto Properzio", e infine intraprese una nuova "Odissea" e "Commedia" negli sterminati e incompiuti "Cantos", poema mitico, entusiasmante e illeggibile, palestra di accademici e poeti: la 'storia della tribù'. Insieme alla figlia (e traduttrice) di Pound Mary de Rachelwiltz, partecipano a questo omaggio Massimo Bacigalupo, curatore dei "Canti postumi", e Corrado Bologna, che ha studiato in particolare il Pound lettore di Dante.
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Italiano
«And Ezra Pound and T.S. Eliot/ fighting in the captain's tower/ while calypso singers laugh at them/ and fishermen hold flowers...» Con la voce del Bob Dylan di "Desolation Row" (canzone che al pubblico italiano rievoca immediatamente la versione italiana firmata da Fabrizio de André e Francesco De Gregori, "Via della povertà") si apre l'omaggio che Festivaletteratura dedica ad Ezra Pound nel quarantesimo anniversario della sua morte. Poeta di origini americane legato a doppio filo con l'Italia, Ezra Pound (Hailey, ID, 1885-Venezia, 1972), da molti considerato il padre delle avanguardie del Novecento, è secondo T.S. Eliot un punto di riferimento imprescindibile per ogni discorso sulla poesia moderna: «Si potrà farne il nome anche solo per insultarlo [...], ma un fatto è certo: si dovrà parlare di lui».
Ospite d'eccezione di fronte al pubblico attento della Sagrestia di San Barnaba è Mary de Rachewiltz, figlia di Pound, poetessa anch'ella, curatrice e spesso traduttrice delle opere del padre (in particolare, sua è la traduzione di tutti i "Cantos" poundiani, pubblicata da Mondadori nel primo volume dei Meridiani dedicato al poeta). Ancora una volta intenta a tramandare il ricordo del padre, si presenta con le parole che chiudono il Canto III: «nec spe, nec metu». Del padre dice che era «un uomo bellissimo, sano, semplice, intelligente, colto, praticamente il contrario di quello che la mitologia dice».
Poi si passa alla lettura del Canto I, e dal corpo esile e delicato di Mary de Rachewiltz si leva una voce profonda, assorta a un tempo nella rilettura dell'opera del padre e nel ritorno all'impegno della propria traduzione. Mentre su uno schermo scorrono immagini di un Pound giovane e dai capelli foltissimi, la presenza del poeta si fa fisica (e fonica) nella rassomiglianza con i tratti e con l'intensità della voce della figlia.
E sono proprio i "Cantos", grande libro-universo della modernità, poema epico, lirico, storico e profetico insieme che mira ad essere una moderna odissea, al centro dell'attenzione di Massimo Bacigalupo, docente di letterature angloamericane a Genova, e Corrado Bologna, docente e filologo romanzo. I due studiosi, che accompagnano Mary de Rachewiltz in questo omaggio mantovano a Pound sotto la guida impeccabile di Daniele Piccini, si soffermano il primo sulla forza letteraria, il secondo sull'interesse filologico della poesia poundiana.
L'invito, corale, è a una lettura dei "Cantos" che non ceda di fronte alla loro difficoltà. Ricapitolazione di una civiltà dal destino precario, narrazione che comincia dove Dante ha concluso e ha la capacità di recuperare tutta l'esperienza della poesia precedente (a partire dai trovatori provenzali e dai mistici medievali come Riccardo di San Vittore), i "Cantos" raccontano né più né meno che la «storia della tribù» («tale of the tribe», nelle parole del poeta), intesa come tribù umana.
Col sorriso di Mary de Rachewiltz si chiude l'incontro, nel ricordo del silenzio necessario in cui il grande poeta si chiuse nell'ultima parte della sua vita, al ritorno in Italia dopo il lungo internamento nell'ospedale psichiatrico giudiziario di St. Elizabeth di Washington (silenzio rotto soltanto, forse, in un'intervista rilasciata a Pier Paolo Pasolini per la televisione italiana nel 1970). A noi resta la sua opera da grande esule-isolato, moderno Ulisse che racchiude in sé Omero e Dante in un «libro fatto di correnti, come l'oceano» (Corrado Bologna).
«The scientists are in terror/ and the European mind stops [...]/In meiner Heimat/ where the dead are walked/and the living were made of cardboard» (da E. Pound, Canto CXV)
Ospite d'eccezione di fronte al pubblico attento della Sagrestia di San Barnaba è Mary de Rachewiltz, figlia di Pound, poetessa anch'ella, curatrice e spesso traduttrice delle opere del padre (in particolare, sua è la traduzione di tutti i "Cantos" poundiani, pubblicata da Mondadori nel primo volume dei Meridiani dedicato al poeta). Ancora una volta intenta a tramandare il ricordo del padre, si presenta con le parole che chiudono il Canto III: «nec spe, nec metu». Del padre dice che era «un uomo bellissimo, sano, semplice, intelligente, colto, praticamente il contrario di quello che la mitologia dice».
Poi si passa alla lettura del Canto I, e dal corpo esile e delicato di Mary de Rachewiltz si leva una voce profonda, assorta a un tempo nella rilettura dell'opera del padre e nel ritorno all'impegno della propria traduzione. Mentre su uno schermo scorrono immagini di un Pound giovane e dai capelli foltissimi, la presenza del poeta si fa fisica (e fonica) nella rassomiglianza con i tratti e con l'intensità della voce della figlia.
E sono proprio i "Cantos", grande libro-universo della modernità, poema epico, lirico, storico e profetico insieme che mira ad essere una moderna odissea, al centro dell'attenzione di Massimo Bacigalupo, docente di letterature angloamericane a Genova, e Corrado Bologna, docente e filologo romanzo. I due studiosi, che accompagnano Mary de Rachewiltz in questo omaggio mantovano a Pound sotto la guida impeccabile di Daniele Piccini, si soffermano il primo sulla forza letteraria, il secondo sull'interesse filologico della poesia poundiana.
L'invito, corale, è a una lettura dei "Cantos" che non ceda di fronte alla loro difficoltà. Ricapitolazione di una civiltà dal destino precario, narrazione che comincia dove Dante ha concluso e ha la capacità di recuperare tutta l'esperienza della poesia precedente (a partire dai trovatori provenzali e dai mistici medievali come Riccardo di San Vittore), i "Cantos" raccontano né più né meno che la «storia della tribù» («tale of the tribe», nelle parole del poeta), intesa come tribù umana.
Col sorriso di Mary de Rachewiltz si chiude l'incontro, nel ricordo del silenzio necessario in cui il grande poeta si chiuse nell'ultima parte della sua vita, al ritorno in Italia dopo il lungo internamento nell'ospedale psichiatrico giudiziario di St. Elizabeth di Washington (silenzio rotto soltanto, forse, in un'intervista rilasciata a Pier Paolo Pasolini per la televisione italiana nel 1970). A noi resta la sua opera da grande esule-isolato, moderno Ulisse che racchiude in sé Omero e Dante in un «libro fatto di correnti, come l'oceano» (Corrado Bologna).
«The scientists are in terror/ and the European mind stops [...]/In meiner Heimat/ where the dead are walked/and the living were made of cardboard» (da E. Pound, Canto CXV)