07/09/2012 - Ri-Tratto

RI-TRATTO

2012_09_07_077
Laboratorio per adulti

«Ne hai fatto proprio un bel ritratto!» Un ritratto fatto bene - a parole o a disegno - ci dà sempre una gran soddisfazione. Ma quand'è che un ritratto diventa un «bel ritratto»? Quando è preciso, fantasioso, ficcante, divertito, malevolo, generoso, spiazzante o che altro? Realizzare un bel ritratto è un'arte, e per imparare un'arte è sempre meglio affidarsi a un maestro. Marcello Fois (per la scrittura) e Chiara Carrer (per il disegno) insegneranno nel corso del laboratorio ad utilizzare la penna-pennarello per lasciare sulla carta un ri-tratto indimenticabile.
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Italiano
«Ogni disegno prima di essere una forma compiuta è punti, linee e superficie» insegna Kandinsky. A partire da questa massima, la pluripremiata illustratrice Chiara Carrer ha condotto oggi il nuovo appuntamento di "Ri-tratto" in cui il disegno è stato protagonista. Sfida del giorno per i partecipanti del laboratorio: destreggiarsi fra segno e simbolismo, utilizzando un tratto narrativo e non accademico per raccontare graficamente gli ospiti d'eccezione («volontari», assicura Chiara), pronti a parlare di sé e specchiarsi nel foglio di molti sconosciuti. Il primo è Tito Faraci (già ospite ieri al laboratorio di Marcello Fois), sceneggiatore di fumetti, che rivela di avere un un rapporto intimo e paradossale con il disegno; «paradossale perché non so disegnare nemmeno una patata, ma continuo a provarci!» e si definirebbe «una di quelle poche persone che viene pagata per fare quello che pagherebbe per fare». Poi c'è Diego Marani, il doppio: grigio funzionario della Commissione europea da un lato, giocoliere delle lingue che inventa l'Europanto dall'altro e di se stesso dice «mi piace l'ordine sulla scrivania perché il disordine lo coltivo dentro di me».
Trattopen alla mano, tocca al pubblico mettere su carta la tanto temuta 'prima impressione', sotto l'attenta direzione di Chiara Carrer, che lancia continue provocazioni: usare il segno in sottrazione per cogliere l'essenziale, concentrarsi sulle forme simboliche e sulle sagome, fino ad invitare i suoi 'allievi' a disegnare con la mano opposta a quella usata normalmente e ad occhi chiusi, per ridurre le aspettative ed esprimersi con la massima libertà.
 Cosa abbiamo imparato? Che lo scarabocchio non è un fallimento, ma è una forma di espressione con un valore psicologico fondamentale, è liberatorio ed ha un'attinenza alla realtà maggiore di quella che ingenuamente chiamiamo 'bella copia'.

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