07/09/2012 - L'ala del racconto
Aimee Bender ed Ermanno Cavazzoni con Stefano Salis
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Il secondo appuntamento dedicato alla forma racconto vede a confronto Aimee Bender, considerata negli Stati Uniti una delle più felici interpreti contemporanee di short stories, ed Ermanno Cavazzoni, che ha adottato la misura breve in molte delle sue opere (da Vite brevi di idioti a Guida agli animali fantastici).
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Il secondo appuntamento del Festival dedicato al racconto ha avuto come protagonisti Aimee Bender ed Ermanno Cavazzoni: i racconti dei due autori sono accomunati, secondo Stefano Salis, moderatore dell'incontro, da una vena surrealista. Che vantaggi presenta il racconto rispetto al romanzo e quali difficoltà? Per Aimee Bender il racconto fa parte del DNA dell'essere umano; è la forma più antica per tramandare una storia. Il racconto permette di vedere subito l'effetto prodotto da una causa ed inoltre dà la possibilità di non perdersi nella scrittura, come invece può accadere con il romanzo. Il racconto viene visto da Cavazzoni come un amante occasionale rispetto al romanzo che invece rappresenta il matrimonio. È frutto di uno slancio. Ricorda che i diari di Kafka sono pieni di avvii di racconti, mai terminati perché quando gli passava l'estro li abbandonava. Salis riscontra un progetto ben preciso nei racconti di Cavazzoni. L'autore, molto ironico, dice che questa è l'impressione che cerca di dare. I suoi racconti sono caratterizzati da una cornice interna che li lega tra loro. Sono condizionati dallo stato d'animo del momento, un po' come un certo terreno influenza la nascita di una pianta. Dai suoi racconti viene fuori la semplice verità delle cose: il fatto più sorprendente è parlare di una cosa che tutti conoscono e vedono. Tutto sta a saperla raccontare. L'ascolto dei sentimenti umani è invece, per Salis, la cifra dominante dei racconti della Bender. L'autrice si è sentita finalmente libera quando ha capito che il suo genere era più orientato ala fiaba che al racconto realistico. Questa rivelazione le permise di guardare il mondo da una porta laterale, che dava una prospettiva diversa alle cose. Si lascia molto trasportare dall'impulso, quando scrive. Le piace il fatto che le favole, per loro natura, siano prevedibili e si sa come vanno a finire. Il bello è entrare dentro quella forma e cambiarla dall'interno, in modo che possano poi accadere cose impreviste. Alla domanda se ritiene di essere uno scrittore originale, Cavazzoni risponde che già la parola scrittore lo mette in imbarazzo, in quanto implica un merito e non solo un'attività. Come si fa a definirsi uno scrittore? È come un dentista che non ha mai preso la laurea o come Garibaldi che si nominò generale senza aver fatto l'Accademia. Per l'autore, il racconto bisogna meritarselo: non si sa da dove viene, è come un sogno. Come quello della sua prozia, che venne illuminata nel sonno da una poesia: «Oh noci di Guilguella... e cantava un usignolo»: Cavazzoni ritiene che seppur brutta, rappresenta comunque un miracolo. Polemizza simpaticamente con le scuole di scrittura che dovrebbero limitarsi a dire agli studenti: «andate in giro, andate e meritatevelo!». Bender, che insegna scrittura creativa, ammonisce dal preoccuparsi solo delle tecniche, perché il lavoro diventerebbe arido. Compito di un insegnante è rimuovere gli ostacoli ed essere in grado di ascoltare quello che c'è scritto sulla pagina. I due autori, sollecitati dal pubblico, consigliano dei libri da leggere: I racconti di Kelly Link, per Bender e "Golden Gate" di Vikram Seth per Cavazzoni, che paragona all'"Eugenio Onegin" di Puskin. E alla domanda "Chi lo ha letto?", risponde che chi non lo ha ancora fatto è fortunato: potrà leggerlo!