Iniziamo il percorso con il vento in poppa, guidati da due veri capitani delle lettere. Il primo è lo svedese Bjorn Larsson, navigante di fama internazionale che «ha vissuto a lungo il mare, a bordo di una barca, e ne ha scritto da dentro, che si tratti di pirati leggendari o di aspiranti navigatori contemporanei in cerca di avventura o di enigmi da risolvere». Il secondo è il ligure Alberto Cavanna, scrittore che ha ricostruito tra fantasia e realtà storie di pirati e avventurieri, spostando spesso lo sguardo romanzesco – come nel caso dello struggente Il dolore del mare – nelle comunità cresciute per necessità lungo la costa. Esiste una letteratura di mare? è la domanda che dà titolo al loro magnifico incontro mantovano del 2015. «Dare una riposta nel tempo di un’ora a una questione così vasta è probabilmente un’illusione», nota puntualmente il nostromo-giornalista Carlo Annese mentre traccia il percorso, ma seguendo l’esempio di giganti come Conrad, Maupassant e Álvaro Mutis, Larsson e Cavanna – autori in apparenza molto diversi per cultura ma estremamente prossimi per sensibilità – prendono agilmente il largo seguendo la magnifica mappa di pagine proprie e altrui, certi che «niente dà la pace dell’anima di una sera d’inverno, soli a bordo, con i gabbiani, il vento e le onde come unica compagnia».
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Ogni mare ha la sua storia, ma quella del Mediterraneo risale davvero i millenni e lega al presente mondi remoti, civiltà sepolte, conflitti epocali e infiniti scambi. È una storia di popoli, economie, nazioni e religioni che diventa speranza o disperazione a seconda del tempo e del punto di osservazione. Due storici fuoriclasse come Alessandro Vanoli e Franco Cardini hanno toccato mille volte le sue sponde, affrontando a lungo nei propri studi il Mediterraneo non solo come luogo di scontro tra mondo cristiano e musulmano, ma anche come simbolo. È da questa sua imprescindibile valenza che parte la loro riflessione al Festival nel 2016, sulla scia del grande Fernand Braudel e di mille altre scritture che hanno tentato di catturare l’essenza di questo poderoso collante tra Oriente e Occidente, città, paesi e culture lontanissime.
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Passare dalla storia collettiva a quella individuale è un passo difficilissimo e pieno d’insidie, ma che navigatori saremmo senza osare? Ecco allora una vicenda che fa proprio al caso nostro! William Finnegan non è solo un asso del giornalismo americano ma è anche l’emblema dell’uomo e della scrittura di mare. Ammaliato dal richiamo dell’onda, fin dall’infanzia tra la California e le Hawaii ha scolpito la sua vita sul surf, migrando da un oceano all’altro. Nel suo viaggio ha toccato i limiti dell’autodistruzione, ha sfiorato le barriere coralline e i fondali irti di pericoli, ha iniziato a scrivere reportage, a insegnare in quartieri poverissimi e a mettere su famiglia. A Surfing Life è il titolo dell’indimenticabile autobiografia che nel 2016 gli è valsa il Pulitzer, e che un anno dopo ha fatto sì che lo incontrassimo a Mantova, incalzato dalle domande di Carlo Annese.
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La breve tappa di chiusura dimora in quella specie di Fossa delle Marianne che è l’Archivio sonoro di Festivaletteratura. Molti eventi dei primi Festival, registrati in musicassetta, non si possono ancora ascoltare da queste parti, ma l’opera di digitalizzazione è tuttora in corso e in continuo aggiornamento. Si racconta di tesori dati per persi o di perle in attesa d’essere riscoperte, come il dialogo del 2001 tra Folco Quilici e Valerio Massimo Manfredi sui mostri del mare e dell’immaginario, e di mille altre meraviglie. Navigare di questi tempi è diventato più semplice (basta un tablet o un pc) ma la curiosità e lo spirito d’avventura restano immutati e ci sono ancora mille mari che vi attendono!
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