07/09/2003 - In Limine. Quando la poesia si contamina


Giovanni Raboni con Mario Artioli

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Giovanni Raboni è una figura di assoluto rilievo nel panorama letterario italiano contemporaneo. Pubblicista, traduttore di Baudelaire, Apollinaire e Proust, nella sua poesia si coglie la frequentazione della lirica francese, inglese e americana, nonché l'attenzione a Montale. Tra le sue ultime raccolte ricordiamo "Ogni terzo pensiero", "Quare tristis" e il più recente "Barlumi di storia". Lo introduce Mario Artioli.

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Italiano
Tra quel che rimane di una città a lungo amata e il ricatto di un passato di ombre che implorano pietà, giungiamo ancora una volta "In limine", al confine. Qui la parola si fa scambio, diventa alchimia, purificazione, presa di coscienza e superamento di una morte che, irrinunciabile, dà un senso alla vita e impregna l'arte. I versi di Giovanni Raboni rivelano un cuore in cui pulsa un senso sacro della storia, che si traduce in ironica malinconia. Il poeta riflette sulla morte, sul rapporto tra vivi e morti, inteso come somma di due lontananze: quella tra chi c'è e chi non c'è più e quella che separa i vivi dalle loro ragioni di salvezza. Torna, allora, alla mente Ugo Foscolo, il quale sosteneva che la poesia è la forma suprema di memoria, di quel ricordo in cui sopravvivono i nostri compagni scomparsi. E come il grande cantore italo-greco affrontava nel suo carme argomenti di vita sociale, i testi del poeta milanese raccontano, come da tradizione lombarda, l'impegno civile, le ingiustizie del nostro tempo e la lotta contro di esse («Il punto/ è che è tanto più facile/ immaginare di essere felici/ all'ombra di un potere ripugnante/ che pensare di doverci morire»). Intrecciando e contaminando prosasticità e struttura poetica, Giovanni Raboni apre i nostri cuori e la nostra mente: perché attraverso la poesia si può cercare, senza inutili pretese di rivoluzione, di raccontare il più possibile la realtà.

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