06/09/2003 - In Limine
. Quando la poesia si contamina


SUE LAME, SUO MIELE

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La poesia di Mariangela Gualtieri ("Fuoco centrale e altre poesie per il teatro") è parola teatrale, parola da ascoltare. La sua voce riesce sempre a catturare il pubblico; attraverso movimenti sommessi e violenze improvvise riconduce lo spettatore ad esperienze primordiali - la sete di vita e di luce, la gratuità del dolore -. Nelle letture che presenta a Festivaletteratura, la Gualtieri prosegue questa sua ricerca sulla parola. Introduce Elia Malagò.

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Italiano
Il suo è un teatro di poesia, un teatro di scavo la cui parola viene dal vuoto buio del suo io interiore, dalla sofferenza di un assordante silenzio notturno schiavo del tempo, padrone cattivo, che con i suoi asciutti rintocchi imprigiona il riflusso del sangue verso quel fuoco centrale di sé che consuma e purifica. La sua è la voce di una «donna spaccata» che appartiene all'essere e non lo sa dire, che si cerca nel dolore terrestre, nell'incapacità di capire la vita e di sentire il pianto di un Dio che sia a lei vicino. Mariangela. Nel suo nome, la madre e la preghiera, l'umiltà di chi ha solo parole ed ali incerte su cui volare; di chi sa ascoltare. Negli occhi, una lacerazione che affonda nelle cicatrici di un utero dove morire e rinascere d'amore ogni notte, quell'amore di cui questa donna fragile e forte, dire non sa se sia guerra, o una tregua, ma che benedice in ogni sua scheggia. E allora i suoi sono versi che, oltre i confini di quel magico luogo chiamato teatro, toccano il cuore in una sorta di messa laica dove lame e miele si intrecciano, dolorosamente, cercando di placare un'ancestrale sete di purezza. L'impatto emozionale su chi ascolta atterrisce, dolce e tremendo; meglio allora fermarsi, prima di soccombervi. Il congedo in poche parole, in tono pacato, come i «piccoli passi senza direzione» di chi ha già visto «tutta la luce».

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