06/09/2008

BLURANDEVÙ
. Appuntamenti in blu: gli autori rispondono alle domande dei volontari-conduttori di Festivaletteratura


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Fabrizio Gatti è un giornalista a cui piace raccontare le cose per esperienza diretta. Si è fatto rinchiudere con il falso nome di Roman Ladu in un centro di detenzione per stranieri a Milano. È stato in Puglia durante la raccolta dei pomodori nel triangolo degli schiavi. Ha fatto di nuovo finta di essere un immigrato clandestino per provare sulla propria pelle la disumana esperienza del centro di permanenza temporanea di Lampedusa. Sono molte le storie da raccontare ai ragazzi di Blurandevù.

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Italiano
Sono 5000-7000 persone che provengono dal sud del mondo e che vengono schiavizzate dal lavoro nero in Puglia.
Si è aperto con queste parole il Blurandevù di questa sera: ospite speciale, il giornalista d'assalto Fabrizio Gatti.
Iniziano dunque le domande; forti e secche che ottengono risposte altrettanto crude e al confine del credibile.
«Come mai hai deciso di fare il giornalista a piedi scalzi?»
«Il motivo - afferma Gatti - è che, se avessi fatto il mio lavoro come fanno tutti, ora saprei solo la metà di quello che so e di quello che ho provato».
Fabrizio Gatti ha ricordato al pubblico, sempre più scioccato, che durante il trasporto di clandestini mediamente muore il 12% dei presenti.
Tra i suoi punti fermi su cui credere e ritrovarsi, ovviamente, vi è la famiglia; di ispirazione morale invece vi sono Ettore Betti, deceduto, e Paolo Chiavelli, entrambi colleghi giornalisti.
Continuando con le domande, è stato chiesto a Gatti se in Italia ci fosse la libertà.
Il cronista ha risposto con le parole di Leo Longanesi: «Non è la libertà che manca in Italia. Mancano gli uomini liberi». E ancora: «Non ho mai avuto ripercussioni né sul lavoro né a livello psicofisico», afferma Gatti, «anche perché non ho mai fatto inchieste che alle mafie e ai politici interessassero; loro iniziano a preoccuparsi solo quando si rintraccia il giro vorticoso che compiono i soldi riciclati».

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