05/09/2012

Ngugi Wa Thiong'o con Igiaba Scego

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«Credo che muoversi in direzione di un pluralismo letterario, culturale e linguistico sia importante ancor oggi, dato che il processo di globalizzazione si fa sempre più veloce. (...) Non c'è razza, scrisse Aimé Cesaire nel suo famoso poema 'Diario di un ritorno al paese natale', che abbia il monopolio della bellezza, dell'intelligenza e della conoscenza». Più volte candidato al premio Nobel per la Letteratura, Ngugi wa Thiong'o fa parte di quella generazione di scrittori africani che ha vissuto in prima persona la lotta per l'indipendenza del proprio paese e che ha sentito l'urgenza di rifiutare il dominio culturale dell'Occidente cercando di dar vita a una letteratura capace di riabilitare l'immaginazione e la visione del mondo propria dei popoli africani. Autore di numerosi romanzi ("Un chicco di grano"; "Se ne andranno le nuvole devastatrici") e opere teatrali, nella sua recente autobiografia "Sogni in tempo di guerra" Ngugi torna a raccontare gli anni della giovinezza e dell'impegno politico anti-coloniale. Incontra lo scrittore kenyota la scrittrice Igiaba Scego.
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«Dobbiamo ripensare l'immagine che abbiamo dell'Africa: aprire gli occhi alla storia, alle nostre colpe e alla realtà» questa la prima considerazione che emerge dall'incontro con Ngugi wa Thiong'o, una delle più importanti voci della letteratura africana post-coloniale, al Festivaletteratura per parlare del suo ultimo libro "Sogni in tempo di guerra". Al racconto di alcuni episodi della sua infanzia uniti al ricordo della madre che, analfabeta, lo spronava ad andare a scuola e fare del suo meglio, e della sorellastra, incredibile narratrice nonostante la cecità, l'autore ha alternato alcune riflessioni sull'Africa e in particolare sul rapporto fra Africa e Occidente. Nonostante siano ormai trascorsi diversi decenni dall'indipendenza, nel mondo occidentale permane ancora l'idea di un continente inferiore, bisognoso d'aiuto. Emblematiche a riguardo sono le immagini che i media ci propongono: persone moribonde, denutrite, elemosinanti, meglio se bambini, o villaggi immersi nel fango; tralasciando i centri urbani sempre più all'avanguardia o i centri culturali. Si tratta di un'immagine funzionale a una divisione del mondo in ricchi e poveri, in cui i ricchi da sempre sfruttano l'Africa, prelevando molto più di quel che danno. Purtroppo però non siamo solo noi a dover cambiare: molti africani, in particolare le élite che traggono beneficio dalla sottomissione al mondo occidentalizzato, accettano quest'immagine e non fanno nulla per investire nel futuro dell'Africa. Un esempio di tutto ciò è la lingua: l'Africa è un continente che conta oltre duemila idiomi, eppure la maggior parte dei libri africani contemporanei sono scritti in inglese o francese, le lingue dei colonizzatori. Thiong'o si chiede pertanto come possiamo parlare di letteratura africana se questa è scritta nelle lingue europee e afferma: «È come se la letteratura italiana fosse scritta in zulu!». La situazione è destinata a peggiorare se le famiglie continueranno a mandare i figli in scuole in cui viene insegnato loro l'inglese o il francese, fondamentali per avere successo. Secondo Ngugi wa Thiong'o, pertanto, è l'Africa che deve salvare se stessa, riconoscendo finalmente la propria indipendenza, i propri problemi, ma anche le proprie potenzialità e facendo in modo di dialogare con l'Occidente in una situazione di parità.

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