06/09/2012 - Tracce

L'ETICA RICHIEDE IMMAGINAZIONE

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«Riportiamo - dice Laura Boella ("Il coraggio dell'etica") - l'etica al centro del nostro agire nell'amicizia, nell'amore, nel dolore, nel perdono. E facciamo dell'immaginazione l'energia che alimenta i nostri comportamenti con gli altri, partendo dalle nostre esperienze morali e aprendo le nostre azioni al futuro».
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Per la copertina del suo ultimo libro, "Il coraggio dell'etica" (Raffaello Cortina, 2012), Laura Boella ha scelto un'immagine di San Giorgio che uccide il drago. Anche se al posto di un personaggio maschile avrebbe visto bene una donna, l'episodio serve ad introdurre l'impegno che è necessario per scrivere di etica oggi, quando il bisogno di orientamento sulle questioni del bene e del male, dell'amicizia e della menzogna è quantomai cogente. L'etica, per definizione, resiste alla dottrina e le preferisce l'azione. Accanto alla non celata insofferenza per la 'chiacchiera' contemporanea sulle questioni morali (i cui risultati riempiono, spesso con successo, molti scaffali nelle librerie), Boella mostra una grande convinzione nella possibilità di un'etica strettamente legata all'esperienza, vale a dire alla vita e ai sentimenti. Il suo libro, presentato oggi in una Tenda Sordello gremita di pubblico, è il frutto di dieci anni di insegnamento e di ricerca. Come è buon uso fare quando si parla di filosofia, si parte dalle domande: come può una vita essere morale? O meglio, l'etica parte dal bene o dal male? Laura Boella, formatasi sul pensiero di autrici come Hannah Arendt e Simone Weil, non si accontenta della tesi secondo cui il male è il tribunale di fronte alla quale si pone la coscienza individuale. Anche rispetto alla «catastrofe etica» del secolo scorso, Boella sottolinea l'importanza di quella «bontà insensata», senza perché, di cui pure sono note testimonianze tanto nei Lager nazisti quanto nei gulag sovietici. Argomento, questo, tutt'altro che anacronistico per chi vive nel periodo successivo alla violenza totalitarista. Dopo la tragedia morale in cui il progetto moderno occidentale è sprofondato nel Novecento (esito di quell'ipertrofia della ragione strumentale per via della quale filosofia, arte e teologia hanno dovuto mettere in dubbio la loro validità), è necessario non cedere alla vertigine dell'abisso aperto nel cuore della cultura umanistica e della modernità stessa. Questo il monito di Laura Boella: non dimenticare il meglio, poiché anche nei momenti che possono sembrare più quotidiani e ripetitivi può aprirsi l'«occasione di uno scarto» rispetto all'abitudine e verso una maggiore tensione etica. Oggi che la drammaticità del secolo scorso ha lasciato il posto alla «farsa» (come afferma l'autrice rispondendo ad una domanda del pubblico), questa tensione si attesta su una condizione nuova: l'immagine migliore per l'etica del nuovo millennio, libera da dottrine e da sistemi, è quella del «cielo aperto». 

Partendo dallo studio dell'empatia e dal confronto con i recenti progressi delle neuroscienze, Boella propone di vedere l'immaginazione come un importante organo morale, che corrisponde alla capacità della mente di gettare un ponte fra conoscenza e sentimento. Organo di relazione che mette in collegamento con l'altro, l'immaginazione è anche alla radice dello sforzo morale, poiché permette di sintonizzarsi con l'irreale (tramite esperienze come il sogno ad occhi aperti e l'utopia) e di tradurlo - pur non sempre in maniera interamente fedele - nella vita reale. In breve, «lo sforzo morale è spesso uno sforzo di immaginazione».

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