07/09/2012
LA VERITÀ È PIÙ BIZZARRA DELLA FINZIONE
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Tra i più penetranti studiosi di letteratura mitteleuropea ed erede della grande tradizione culturale triestina, Carlo Magris è una delle figure di maggior rilievo della letteratura italiana contemporanea. Partendo da una celebre frase di Mark Twain, nel suo intervento Magris sviluppa una riflessione sul rapporto tra vita e finzione letteraria.
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Tutto quello che si può dire di Claudio Magris sarà sempre troppo poco, troppo parziale, troppo limitante, rispetto alla portata incredibile del personaggio, dello scrittore, del saggista, del profondo analista del vivere moderno. Europeo come pochi potrebbero essere, grazie alla sua profonda appartenenza a Trieste, capitale imperiale e mitteleuropea. Germanista, saggista, scrittore, poeta, e qualsiasi altra cosa che si colleghi con la realtà, e con la fantasia, dei nostri tempi. Già, la fantasia. L'unica cosa che la può superare è veramente la realtà, nessun dubbio. Svevo diceva che la vita è originale e Twain che la verità è più strana della finzione. La vita è infinitamente più ricca di quello che si può inventare in letteratura. Anche se le risposte si cercano soprattutto nei romanzi, nella poesia e non nella realtà.
Questo continuo rimando da un mondo all'altro lo vediamo nei romanzi di Salgari, pieni di avventure mirabolanti ma anche di spiegazioni esaurienti del reale, di informazioni sul mondo vero che fa da sfondo alla storia fantastica. I libri di fantasia fanno a gara per descrivere luoghi reali. E per assurdo diventa favolosa l'isola che c'è, come quella sorta dal nulla al largo dell'Islanda e subito scomparsa ancora prima che qualche nazione la conquistasse. La fantasia è quindi usata a sua volta per tirare fuori dalla realtà un significato, un senso che subito non vediamo.
Si parte sempre da storie vere, ma già nel momento in cui le raccontiamo diventano fiction. Lo scrivere è sempre, in un certo senso, un copiare dalla realtà, ma significa anche sublimarla, raccontare le sue potenzialità, cercare di ordinarla e di svelarne quindi il caos (Musil). I romanzi dell'autore sono pieni di queste descrizioni della realtà. "Illazioni su una sciabola" per esempio, che è stata definita una copiatura di storie infinitamente maggiori che sono accadute realmente. La realtà ha sempre molta difficoltà ad accettarsi. Si ribella a se stessa e vuole credere a storie false e riportate, copiate. La letteratura, nel riportare la realtà, la usa utilizzando anche le sue sfaccettature potenziali, i suoi 'poteva essere', le sue 'sliding doors'. Continuando a scorrere i romanzi di Magris, anche "Danubio" utilizza la realtà reale, ma tutte le tessere vere compongono un disegno di fantasia. Borges diceva infatti che il mondo è la nostra immagine, il nostro specchio, e partendo da racconti di vita si può sicuramente dare un senso a realtà molto più vaste rispetto a dove siamo partiti.
La letteratura di viaggio quindi risulta essere l'esempio maggiore di questo tipo di ricerca. Si viaggia, si guarda, si parla (perché raccontare significa pure trasmettere, relazionarsi e creare dei legami), si colgono gesti e azioni. Tutto quello che li relaziona lo scrive il narratore, lo inventa lo scrittore. Già altri autori hanno parlato del giornalismo come la forma più vera di letteratura. La cronaca della realtà, che diventa romanzo degli attimi, degli sguardi, dei segni. Il giornale stesso dà l'idea di un quadro cubista, della realtà che mette sulla stessa pagina ballerine e guerre, miserie e nobiltà. La letteratura a volte si deve addirittura frenare perché la realtà è troppo mirabolante e frenetica per essere creduta. Lo scrittore poi che vive pienamente questa dicotomia, perde sempre qualcosa scrivendo. È vero che l'arte permette all'uomo di vedere il mondo senza venire pietrificato da esso (come il famoso scudo di Perseo contro Medusa), ma per scrivere si deve avere una certa distanza (una certa 'lontananza', come suggerirebbe il "vocabolario europeo") dalla realtà per poterla contemplare, e questo è doloroso, come sono tutte le lontananze. La parola esatta ferisce sempre.