09/09/2012 - Lavagne. Problemi per leggere l'economia

SPREAD

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Quando sale, i governi cadono; quando scende, le borse esultano. 'Spread' è la parola più instabile del vocabolario dell'economia: ma che cos'è che lo fa muovere in continuazione? Quest'anno le "lavagne" si fanno in tre: alle originali spiegazioni di problemi scientifici per sola voce e lavagna, si aggiungono le doppie serate musicali di scrittura e ascolto e il minimo vocabolario economico per comprendere la crisi.
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In tempo di crisi sentiamo spesso parlare di 'spread'. Ne parlano quotidiani, blog, telegiornali; ne parlano così tanto, dandone spesso per scontato il significato, che forse ci siamo fatti un'idea sbagliata di cosa sia. Effettivamente, di cosa parliamo quando parliamo di 'spread'? Lo ha spiegato questa mattina l'economista Stefano Di Colli all'accaldato pubblico di Piazza Mantegna, partendo da alcuni dati importanti: lo spread è ad oggi del 3,55% (o 355 punti base), la scorsa settimana era al 4,5%, un anno fa al 2,9%. Lo spread quindi è qualcosa che cambia, ed anche molto rapidamente. A differenza di quanto si possa pensare, inoltre, lo spread non è solo un elemento del dibattito economico-monetario, ma anche di quello politico ed istituzionale, basti pensare al 15 Novembre del 2011 quando lo spread raggiunse e superò i 600 punti base inducendo la caduta del quarto governo Berlusconi. «La differenza fra il tasso di interesse sui titoli di Stato con uguale scadenza emesso da due Paesi distinti, ecco cos'è lo spread», svela finalmente Di Colli ed aggiunge, per chiarificare, che lo spread di riferimento è quello fra Italia e Germania su titoli di Stato a scadenza decennale.  Per capire cosa renda il tasso italiano maggiore rispetto a quello tedesco bisogna introdurre due concetti fondamentali: il concetto di rischio di credito (ovvero la probabilità che un prestito venga restituito) e l'avversione al rischio (cioè la tendenza ad investire in attività poco rischiose, motivo per cui un paese dall'economia precaria è costretto a fissare un tasso d'interesse maggiore per risultare competitivo). L'Italia al momento è considerato un paese in cui gli investimenti sono rischiosi tanto per ragioni strutturali (quali la disoccupazione, il PIL in recessione, la crisi della produttività), quanto per ragioni di psicologia finanziaria (ad esempio l'incapacità politica di attuare riforme efficaci) che spesso prevalgono sulle ragioni strettamente economiche: «Lo spread giustificato dell'Italia sarebbe del 2,2%, ma aumenta al 3,5% perché in ambito finanziario è considerata una nazione più rischiosa di quanto non sia e questo scoraggia l'acquisto dei suoi titoli di Stato», chiarifica l'economista. Lo spread è dunque un cane che si morde la coda; più aumenta, più è destinato a crescere, in una spirale psicologica infinita che può essere interrotta solo evitando la politica economica di deficit per cui lo Stato spende più di quanto guadagni, senza tener conto del suo debito pubblico pregresso. Ma non è solo questo; lo spread rischia di diventare anche distanza culturale, rendendo inefficace l'unione monetaria, politica ed istituzionale che l'Europa ha scelto.

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