08/09/2013 - Blurandevù
BLURANDEVÚ. Volontari, all'intervista!
2013_09_08_BLU1700
Cristiano Cavina ha sempre avuto un pessimo rapporto con la scuola e, una volta iniziato a lavorare, ha promesso a se stesso di restare pizzaiolo per tutta la vita. Grazie a queste premesse e a una vorace passione per la lettura, è riuscito a diventare uno scrittore libero, che risponde solo al piacere e all'urgenza di narrare storie. Il mondo dei suoi romanzi è l'Appennino faentino, in cui Cavina continua a vivere, ascoltando quello che i vecchi e i giovani raccontano al bar o nei giorni di festa. Di scrittura e lettura, e più in generale di come le storie uniscano le generazioni, l'autore di "Inutile Tentare Imprigionare Sogni" parla con il gruppo di blurandevù.
English version not available
Italiano
Arriva indossando una T-shirt bianca e un paio di jeans sbiaditi dal tempo e dall'utilizzo, ha perso il pass del Festival e non ricorda il nome dei ragazzi che lo intervisteranno. Non ha perso lo 'sguardo sghembo', come gli rimprovera sempre la madre.
Cristiano Cavina, romagnolo doc cresciuto sull'Appennino faentino, le storie che racconta le ha apprese nel bar del paesino in cui è nato e vive tutt'ora con la moglie e il figlio Giovanni. Racconta con il sorriso sulle labbra della voglia di studiare che non ha mai avuto, della passione adolescenziale per la chitarra e successivamente dell'amore a prima vista provato per la macchina da scrivere della sua famiglia. La parola che sceglie per descriversi è 'innocenza', la parola scelta per lui è 'legame', per spiegare i tre legami che hanno caratterizzato tutta la sua esistenza: quello per la sua terra, quello per i ricordi che non perde mai e quello per la famiglia. Lui che, cresciuto con la madre (rimasta sola all'inizio della gravidanza) e con la nonna, ha sopperito all'assenza del padre dapprima attraverso la musica e successivamente con i libri (da lui definiti «i frutti dimenticati») e la voglia di fare le cose con passione... anche guidare i trattori in mezzo ai contadini!
Assicura di non essere cambiato e non si fatica a credergli: lavora ancora come pizzaiolo nella pizzeria dello zio, si fa prendere in giro per la 'z' romagnola e abita al primo piano di un palazzo popolare. Sostiene di non avere nè la fantasia nè l'inventiva necessarie a scrivere storie, solo tanti ricordi della sua terra.
Da sottolineare l'innato senso dell'umorismo che scioglie all'istante ogni riserva nei suoi confronti. E a vederlo non si può fare a meno di negare le parole di sua nonna «Ha ancora la testa di un bambino, un chiacchierone fatto e finito».
Cristiano Cavina, romagnolo doc cresciuto sull'Appennino faentino, le storie che racconta le ha apprese nel bar del paesino in cui è nato e vive tutt'ora con la moglie e il figlio Giovanni. Racconta con il sorriso sulle labbra della voglia di studiare che non ha mai avuto, della passione adolescenziale per la chitarra e successivamente dell'amore a prima vista provato per la macchina da scrivere della sua famiglia. La parola che sceglie per descriversi è 'innocenza', la parola scelta per lui è 'legame', per spiegare i tre legami che hanno caratterizzato tutta la sua esistenza: quello per la sua terra, quello per i ricordi che non perde mai e quello per la famiglia. Lui che, cresciuto con la madre (rimasta sola all'inizio della gravidanza) e con la nonna, ha sopperito all'assenza del padre dapprima attraverso la musica e successivamente con i libri (da lui definiti «i frutti dimenticati») e la voglia di fare le cose con passione... anche guidare i trattori in mezzo ai contadini!
Assicura di non essere cambiato e non si fatica a credergli: lavora ancora come pizzaiolo nella pizzeria dello zio, si fa prendere in giro per la 'z' romagnola e abita al primo piano di un palazzo popolare. Sostiene di non avere nè la fantasia nè l'inventiva necessarie a scrivere storie, solo tanti ricordi della sua terra.
Da sottolineare l'innato senso dell'umorismo che scioglie all'istante ogni riserva nei suoi confronti. E a vederlo non si può fare a meno di negare le parole di sua nonna «Ha ancora la testa di un bambino, un chiacchierone fatto e finito».