11/09/2009 - Ex-Jugoslavia: voci di una letteratura dispersa
TRA ORIENTE E MITTELEUROPA
2009_09_11_083
Definire un codice che permettesse di parlare di 'letteratura jugoslava' è sempre risultato arduo anche prima della disgregazione del paese balcanico. Eppure la narrativa del Novecento europeo conosce nelle opere di Ivo Andric e Danilo Ki alcuni dei suoi capolavori assoluti. Nel solco di una tradizione letteraria aperta che guarda ad oriente e ad occidente, intrecciando la componente mitteleuropea con i retaggi della presenza ottomana, si inseriscono oggi presenze come quella del serbo Dragan Velikić ("Via Pola") e del bosniaco Devad Karahasan ("Il centro del mondo", "Il divano orientale") che rinnovano nella propria opera temi come la tensione drammatica tra l'individuo e la storia, la riflessione sul significato della frontiera e del riconoscersi attraverso l'altro, il richiamo all''impegno'. Presenta i due autori Nicole Janigro, autrice di "Narrativa dalla ex-Jugoslavia". L'evento 083 ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma. Originariamente era prevista la presenza di Devad Karahasan e Dragan Velikić, sostituiti in seguito da Richard Swartz e Bora Ćosić.
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Serbo-croato (cirillico)
Svedese
Serbo-croato (cirillico)
Svedese
Ore 15:00, Aula Magna dell'Università. Con Nicole Janigro si parla di letteratura Jugoslava perché non c'è un tema unico che unisca quegli scrittori, ed allora bisogna dire Jugoslavi. Ma la Jugoslavia non esiste più e altre lingue hanno preso il posto del serbo-croato dominante. Ma nemmeno il serbo-croato esiste più, ora ci sono il Serbo ed il Croato. Difficile quindi definire la letteratura balcanica se non ha nemmeno una lingua in cui iscriversi. Non una lingua, non un luogo ma qualcosa di nuovo e per capirlo bisogna riflettere sui concetti di esilio e asilo. Sia Bora Cosić, scrittore e poeta di origine serba, sia Richard Swartz, scrittore e giornalista svedese, vivono a Berlino e sentono la necessità di spiegare di non sentirsi due esiliati, perché l'esilio significa essere forzati a lasciare il proprio paese. Non si tratta di asilo, perché non hanno rinunciato alla propria nazionalità per averne un'altra. I due scrittori sono invece in una condizione esistenziale fra asilo ed esilio perché la loro situazione non è né l'una né l'altra ma lo è entrambe allo stesso tempo. Allo stesso tempo c'è la questione della lingua: «Mi sento testimone di una lingua che non c'è più» dice Cosić, testimone di qualcosa che è passato. «Io mi sento svedese, pienamente svedese» - dice Swartz - «Ma ogni volta che torno a casa la mia lingua si allontana, non è più attuale, sento che si restringe. È la mia unica lingua e sento piano piano di perderla». Infine c'è il rapporto con l'alterità, perché in altri luoghi e con altre lingue l'Altro è un tema necessario, una domanda intimamente vitale. Come convivere? Come conoscerlo? Come evitare di vedere nell'Altro unicamente un nemico? La risposta non è facile perché bisogna interrogarsi sull'Io in paesi in cui si è sempre detto Noi. Vedere l'io oltre il me e il noi oltre il voi. Non facile, no. Ma possibile. Questo è certo. Vivere in un "fra", con una lingua che si allontana e con l'Altro che ha improvvisamente cambiato volto diventando vicino di casa: ecco la situazione di rinuncia ma anche di forza e di unicità di una letteratura che vive la molteplicità come una ricchezza talmente forte e bella da fare ancora timore.