11/09/2009 - Township Poetry
Maakomele Manaka con Itala Vivan
2009_09_11_TWP1900
Maakomele Manaka è senza dubbio uno dei più sorprendenti interpreti della scena dello slam poetry sudafricano. Nato a Soweto venticinque anni fa, figlio d'arte - il padre è sceneggiatore e artista visivo, la madre coreografa e ballerina - Manaka ha appreso dai genitori il talento creativo e performativo che gli consente di mettere insieme elementi della tradizione orale africana e dell'hip-hop in poesie vibranti e di grande potenza visiva: «io vedo immagini nella mia mente prima di dar forma alle mie parole». Le sue performances sono seguitissime dai giovani delle periferie di Johannesburg, così come molto diffusi sono i suoi libri autoprodotti, che parlano della tenacia e della rabbia di chi vive nelle township. Lo presenta Itala Vivan, esperta di letteratura africana.
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Maakomele Manaka, detto Mak, è la personificazione della caleidoscopica energia vitale di un intero continente, l'Africa. Ventisei anni, figlio d'arte, scrive poesie da quando ne aveva cinque.
«I am! I am!» urla dal palco blu, facendo risuonare la sua voce nera fino in piazza Sordello. Il suo grido rimbalza di muro in muro e fa tremare la terra. Lui non ama leggere, si anima solo quando si esibisce, e infatti quello a cui si assiste è uno spettacolo vero e proprio: recitazione, musica, letteratura che scaturiscono solo da lui, dal suo talento variegato.
Il corpo è teso e contratto, il braccio allungato verso il pubblico con la mano aperta e protesa, ha lo sguardo che ride e conquista. Declama i suoi poemi con una voce calda e furiosa che accorda come fosse uno strumento musicale su sonorità che abbracciano il jazz, l'hip hop e il raggae. Un dj dei sentimenti, Mak rivendica il desiderio di uscire dal ghetto, «the african dream»; canta e mima l'amore trovato e poi perduto, le ingiustizie del mondo corrotto: «la mia lingua è presa in ostaggio!» tuona.
Spontaneo, ama l'improvvisazione e vuole animare, coinvolgere chi è lì per ascoltarlo: «Mantova sei felice? Mantova sei felice?... Sì? Bene. Ora non puoi più cambiare idea!».
«I am! I am!» urla dal palco blu, facendo risuonare la sua voce nera fino in piazza Sordello. Il suo grido rimbalza di muro in muro e fa tremare la terra. Lui non ama leggere, si anima solo quando si esibisce, e infatti quello a cui si assiste è uno spettacolo vero e proprio: recitazione, musica, letteratura che scaturiscono solo da lui, dal suo talento variegato.
Il corpo è teso e contratto, il braccio allungato verso il pubblico con la mano aperta e protesa, ha lo sguardo che ride e conquista. Declama i suoi poemi con una voce calda e furiosa che accorda come fosse uno strumento musicale su sonorità che abbracciano il jazz, l'hip hop e il raggae. Un dj dei sentimenti, Mak rivendica il desiderio di uscire dal ghetto, «the african dream»; canta e mima l'amore trovato e poi perduto, le ingiustizie del mondo corrotto: «la mia lingua è presa in ostaggio!» tuona.
Spontaneo, ama l'improvvisazione e vuole animare, coinvolgere chi è lì per ascoltarlo: «Mantova sei felice? Mantova sei felice?... Sì? Bene. Ora non puoi più cambiare idea!».