07/09/2012 - Il furioso in festa

IL FURIOSO IN FESTA

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Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori: ecco finalmente Ludovico Ariosto che torna a Palazzo Te. Due serate - per quattro tornate complessive d'incontri - da passare in festa e in letizia tra le ottave dell'Orlando Furioso. Poeti, artisti, narratori e studiosi, dispersiper le sale di Palazzo Te, leggono, interpretano, reinventano il poema seguendo il proprio piacere. Al pubblico la sorte di andare alla loro ricerca, ben sapendo - come accade ai cavalieri cristiani e saracini - che è nel percorso che si presentano nuove avventure e inattese meraviglie. Nelle tornate pomeridiane la festa si apre anche ai bambini.La durata di ogni tornata è di circa tre ore. All'interno delle sale non sono previsti posti a sedere.
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Si accendono le luci, la musica fa vibrare l'aria, e per una sera Palazzo Te diventa il castello del mago Atlante, la giostra delle illusioni in cui Ludovico Ariosto riannoda i fili delle storia del suo "Orlando Furioso": ognuno di noi diventa un cavaliere errante, un fante, un imperatore, creatura non più di carta, imprigionata nelle pagine di un poema, ma di carne, bramosa di trovare l'oggetto del proprio desiderio. Se nell'opera dell'Ariosto i personaggi cercano il 'van' ossessivamente in un labirinto che costituisce a livello microscopico l'emblema del racconto (ma con una connotazione macroscopica che lo eleva ad immagine del mondo), a Palazzo Te il pubblico è impegnato a trovare il proprio percorso dalla camera delle Metamorfosi all'appartamento della grotta, condotto ed ammaliato dalla voci di 18 autori che si propongono l'arduo compito di leggere, collegare, spiegare i versi del celebre poema.
 Nella camera di Amore e Psiche sono due donne a presentarci altrettante figure femminili: Simonetta Agnello Hornby declama la toccante vicenda di Olimpia, «di un amore difficile, che non dura molto, ma forse dura», mentre Bianca Pitzorno ricorda l'episodio dell'equivoca passione sorta in Fiordispina nei confronti di Bradamante. 
Sempre di donne parla anche Giuseppe Pederiali, spingendosi in una riflessione sulla misoginia dell'Ariosto, che considera la figura femminile come «traditrice per dispetto, sicura del proprio diritto e dovere di amare senza guardare al codice cavalleresco».
 Nell'Esedra si susseguono la parodia di un «Orlando camionista che, accecato dalla rabbia verso un'Angelica che l'ha lasciato, scaglia il piatto di maccheroni verso il soffitto e solleva il frigorifero», originale e divertentissima interpretazione di Stefano Benni, e la lezione sugli«appetiti che attizzano la fantasia» di Scansani. È proprio con il professore che scopriamo il ruolo fondamentale dei Gonzaga nella realizzazione dell'opera ariostesca: acquistando a Salò la carta necessaria alla tiratura di mille copie per ogni edizione del Furioso, i signori di Mantova vengono verbalizzati nella storia, quasi ricevendo una santificazione laica che imprigiona ed immortala i nomi di Federico e Francesco II nelle pagine del poema encomiastico per eccellenza.
 Continuiamo a viaggiare in terre lontane, come Astolfo sull'Ippogrifo, grazie alla voce di Tahar Lamri, che ci incanta con i suoni del testo ariostesco in arabo, e alle riflessioni del geografo Franco Farinelli. Temi centrali, quello dello spazio, mai definito, e del tempo, un eterno presente in cui viene cristallizzato un universo infinito di storie e di creature, in cui viene ricreato il cosmo di reale e irreale, pensabile e impensabile.
 Con Matteo Motolese prestiamo attenzione all'aspetto formale del testo, ripercorrendo le tappe del processo di toscanizzazione, sulla scia di Dante e Petrarca, a cui l'Ariosto sottopone il proprio testo, persuaso e stimolato dall'idea che per essere moderni dovesse essere innanzitutto classico, riuscendo così ad andare oltre se stesso e allo scorrere del tempo.
 Accompagnati dalle note dell'Accademia degli Invaghiti, possiamo avviarci verso l'uscita, ben consapevoli che, come scriveva Calvino, «il palazzo, ragnatela di sogni, desideri e invidie, si disfa, cessa di essere uno spazio esterno a noi, con porte e scale e mura, per ritornare a celarsi nelle nostre menti, nel labirinto dei pensieri».

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